Villa Reale di Marlia è un gioiello incastonato nel paesaggio collinare della Lucchesia e ha affascinato molti personaggi illustri nel corso dei secoli, che l’hanno acquistata e conservata, vissuta e amata. Il suo parco si compone di una pluralità di giardini di epoche successive giunti quasi intatti fino a oggi, a testimonianza di quanto il genio dell’uomo riesca a creare. Un patrimonio culturale inestimabile.
I giardini possono essere mondi dei sogni e della fantasia, in cui la bellezza della natura si unisce a quella dell’arte. E poiché la tendenza a modificare l’ambiente è insita nella natura umana, in ogni cultura e società, secondo ideologie o mode che accompagnano la storia, i giardini raramente sono esenti da cambiamenti, parziali o totali, nel corso del tempo. In alcuni di essi è possibile scorgere le tappe delle diverse culture e le tracce della storia, anche dei loro proprietari, di cui riflettono il gusto, le ambizioni, le abitudini e le fortune.
Uno di questi è il complesso monumentale della Villa Reale di Marlia, a Capannori, immersa in un paesaggio collinare ai margini della Piana di Lucca e a ridosso dell’altopiano delle Pizzorne. In questo territorio, tra il 400 e l’800, le famiglie più facoltose della città solevano edificare ricche ed eleganti dimore di campagna in cui trascorrere l’estate e allietare gli ospiti. Sposando otium e negotium, queste residenze alternavano alla grazia dei parchi la produttività delle aziende agricole annesse e diedero luogo a un sistema paesistico, quello delle Ville Lucchesi, che oggi ammonta a circa trecento dimore. Anche la Villa Reale di Marlia, in origine una fortezza medievale, poi trasformata nel 500 in un palazzo signorile, è stato un complesso produttivo e un sistema autosufficiente, che con le altre residenze condivideva l’impostazione di un asse principale da nord a sud, viali alberati, campi coltivati oltre i giardini, frutteti e boschi sul retro della villa, orti sui lati.
Come anticipato, la tendenza al cambiamento alloggia nell’animo umano e infatti dal 1651 a oggi i proprietari che si sono succeduti hanno lasciato un’impronta indelebile del loro passaggio, mirando alla bellezza come valore primario e dando carattere alla villa e al parco con successivi abbellimenti, ampliamenti e aggiunte che si sono affiancate all’esistente senza sovrapporsi. Il visitatore odierno del complesso della Villa Reale di Marlia, alla pari degli ospiti del 900, allora ammessi in un luogo privatissimo ed esclusivo, si trova al cospetto di una pluralità di architetture e giardini di foggia e concezione diversa, collezioni di piante dalle fioriture esuberanti, grandi alberature, pareti vegetali, fontane, giochi d’acqua, una peschiera, un lago, grotte artificiali, ninfei, limonaie, chiesetta, cappella, un teatro all’aperto, una piscina e ogni tipo di amenità che potesse rendere piacevole il soggiorno, tra allegria e tranquillità in grandi ville raffinate ed eleganti e in un parco che si estende su una superficie di sedici ettari, dove regna un’armonia di insieme.
I nobili Orsetti, in epoca barocca e fino a inizio 800 proprietari del complesso, che ribattezzarono in Villa di Marlia, a ricordo della Reggia di Marly, favorita da Luigi XIV quando voleva sfuggire alla formalità di Versailles, fecero realizzare una serie di giardini formali a stanze che si sviluppano lungo assi ortogonali che interessano le aree a est e a nord rispetto alla villa, allora in stile tardorinascimentale.
Il primo è un viale, chiamato, anche ragnaia, fiancheggiato sui due lati da alte pareti topiate di leccio e alloro che nascondono dei boschetti e conduce alla Palazzina dell’Orologio, dalla caratteristica loggia a colonne e con una torre sormontata da un orologio, appositamente costruita per ospitare gli ospiti e la loro servitù e una fattoria.
La ragnaia è intersecata da un asse perpendicolare che inizia con il Giardino dei Limoni e si conclude con il Teatro di Verzura, uno degli elementi per cui Marlia è universalmente nota. Realizzato intorno alla metà del 600, è il più antico e meglio conservato in Italia, un modello di riferimento per tutti quelli successivi. Verosimilmente ispirato al teatro sull’isola di Citera descritto da Francesco Colonna nell’Hypnerotomachia Poliphili, dato alle stampe nel 1499, è un trionfo di ars topiaria, ideato per la rappresentazione di spettacoli, ed esso stesso non privo di spettacolarità. Qui, in epoche successive, Racine rappresentò per la prima volta Phèdre e Niccolò Paganini si esibì più volte. Di forma ellittica, il teatro è interamente racchiuso da siepi di tasso, che costituiscono un foyer, che dà accesso a due ordini di palchi a semicerchio in bosso, e, a un livello superiore, a una successione di quinte a emiciclo, che agevolavano l’ingresso e l’uscita degli attori sul palcoscenico inerbito e fungevano da fondale alla rappresentazione. Al centro si trovano un prato semicircolare per l’orchestra, il podio del direttore, una siepe di demarcazione tra pubblico e piano scenico, la buca del suggeritore e dieci coprilampada, che nascondevano grandi candele, tutti realizzati in bosso. Nelle nicchie sono state aggiunte nel 700 tre statue in terracotta che raffigurano personaggi della commedia dell’arte: Pulcinella, Colombina e Pantalone.
Pregevole anche il Giardino dei Limoni, che è attraversato dall’asse prospettico che dal Teatro di Verzura traguarda lo spazio antistante la villa ma si sviluppa lungo un asse perpendicolare al precedente, e quindi parallelo a quello della ragnaia. Si compone di una grande Peschiera rettangolare cinta da una balaustra su cui sono disposte, a intervalli regolari per dare un ritmo alla sequenza, conche con limoni e, nella parte più a nord, due statue sdraiate che raffigurano i fiumi Arno e Serchio. Alle loro spalle un’esedra a rocaille ospita il gruppo di Leda e il Cigno.
All’estremità opposta, e a un livello inferiore, si sviluppa un giardino formale con quattro spartimenti di erba ognuno dei quali al centro ospita una Magnolia grandiflora tenuta in forma obbligata a cono e sui lati altre conche con limoni, che durante la stagione fredda vengono riposte nella limonaia.
La parte barocca del parco si conclude con il Teatro d’Acqua situato sul retro della villa: è un’altra esedra con una maestosa vasca semicircolare in cui una cascata e vari cannelli all’interno di una grotta riversano, tramite un primo bacino, l’acqua ottenuta deviando il corso del torrente Fraga. Alte siepi di alloro in forma obbligata la circondano e all’interno di quattro nicchie Giove, Saturno, Adone e Pomona sono poste a ornamento insieme a vasi di fiori e rose. Il simbolismo e l’allegoria dei giardini e delle statue erano facilmente compresi dagli intellettuali dell’epoca.
Bisogna aspettare la comparsa sulla scena lucchese di Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone, principessa di Lucca e Piombino, contessa di Compignano, duchessa di Massa, principessa di Carrara e granduchessa di Toscana per giungere alla definizione del parco nella sua attuale dimensione di sedici ettari e alla configurazione finale della villa, da allora definita Villa Reale di Marlia, nello stile neoclassico Impero, ideato dagli architetti di Napoleone, Charles Percier e Pierre-François-Léonard Fontaine. Donna colta e di buon gusto, nel 1806 Elisa acquistò Marlia e portò con successo le novità più interessanti da Parigi nel campo delle arti e della cultura. Per trasformare la residenza, prediletta per i soggiorni in campagna, si avvalse degli architetti Pierre-Théodore Bienaimé, Giovanni Lazzarini e Giuseppe Marchelli e per gli arredi si affidò alle locali maestranze di artigiani dalla indiscussa abilità tecnica, dando nuovo impulso alle attività di ebanisteria e lavorazione della seta. Iniziò inoltre l’ampliamento del parco nella parte inferiore con l’acquisto delle proprietà confinanti, tra tutte la Villa del Vescovo, con le sue pertinenze e il grande giardino, con l’intento di rendere Marlia in grado di rivaleggiare con le altre dimore reali europee.
Figlia del pensiero di Rousseau, che sentiva nella natura una forza pacificatrice dello spirito e un’inesauribile fonte di ispirazione, e della sua epoca in cui si assisteva a un progressivo disamore verso il giardino formale in favore di uno più informale e naturale, Elisa incaricò Jean-Marie Morel di incorniciare l’ormai vastissimo prato antistante la villa, e in leggero pendio, con grandi macchie asimmetriche di alberi e arbusti pregiati, autoctoni oppure esotici che proprio in quegli anni iniziavano ad arrivare da ogni parte del mondo per merito delle esplorazioni botaniche: magnolie, tigli, platani, Ginkgo biloba, Liquidambar styraciflua, Liriodendron tulipifera, Styphnolobium japonicum (in precedenza nota come Sophora japonica), ippocastani, lecci, aceri, mimose, querce, faggi, bagolari, cedri e altre conifere.
Dal celebre Giardino della Malmaison della cognata Joséphine giunsero rose di straordinaria bellezza, mentre dalla Reggia di Caserta, dove si era insediato il fratello Giuseppe, Re di Napoli, splendide camelie a fioritura primaverile, ancora presenti, lungo due grandi viali. Dalla Villa Reale di Marlia le camelie si diffusero nelle ville della Lucchesia e diedero inizio a una tradizione florovivaistica. A impreziosire il parco vennero posate statue in marmo bianco di Carrara che ancora oggi punteggiano la proprietà. Senza assi principali o trasversali, le nuove parti del giardino si articolavano lungo sentieri sinuosi, secondo l’insegnamento di William Hogarth, che nella sua ‘Analisi della bellezza’, aveva definito la linea sinuosa “la linea della bellezza” che evocava dinamicità e movimento, andando a comporre un giardino paesaggistico all’inglese, con il leggero pendio del prato a esaltarne la fluidità e dilatarne la prospettiva.
L’acquisizione della Villa del Vescovo arricchì il parco di un grazioso giardino all’italiana con ricami in bosso che sottolineano aiuole di ghiaia colorata, di una chiesetta, poi convertita al rito ortodosso, e di un Ninfeo cinquecentesco, detto anche Grotta di Pan, riccamente decorato e diviso in due ambienti: uno a pianta quadrata e uno a pianta circolare che ricorda una grotta naturale con giochi d’acqua, per rinfrescare e allietare gli ospiti durante le calde giornate estive, ed è illuminato da un semplice oculo in cima alla volta.
All’ingresso della proprietà furono costruite due palazzine identiche, progettate dal Lazzarini, davanti a un cortile esterno semicircolare.
In seguito all’abdicazione di Napoleone, nel 1814 Elisa e il consorte Felice Baciocchi furono costretti alla fuga e molti dei progetti per il giardino non furono realizzati. Abitata in seguito da una serie di inquilini reali che si limitarono a vivere e a godere del parco senza stravolgimenti ma senza neppure molte attenzioni, la tenuta era in disordine e quasi decadente quando Anna Laetitia Pecci, detta Mimì, e suo marito Cecil Blumenthal, poi abbreviato in Blunt, nel 1923 l’acquistarono per farne la loro residenza estiva. I coniugi ristrutturano la villa e ne recuperarono parte degli arredi per ripristinare la sua raffinatezza e chiamarono l’architetto Jacques Gréber, a cui avevano fatto ridisegnare i giardini del loro hôtel particulier a Parigi, l’Hôtel de Cassini, per ravvivare il parco, ripiantando fedelmente gli alberi che erano stati abbattuti e venduti come legname, progettare nuove aree per renderlo più moderno, ma senza stravolgere l’importante eredità del passato, come pure aveva fatto Elisa.
Gréber fu anche incaricato di portare a compimento un progetto della illustre proprietaria rimasto incompiuto: la creazione di un lago in asse prospettico con la villa, all’estremità meridionale del prato, grandioso e romantico complemento del parco. Abbastanza grande da essere navigabile, il lago è alimentato dalle acque del torrente Fraga, deviato in un ruscello che costeggia un primo viale di camelie e poi si dirama in due canali creando un’isola a forma di goccia prima di entrare nel lago stesso, davanti al quale Gréber fece mettere a dimora due salici piangenti simmetrici. Alle sue spalle un’esedra decorata con tre statue è un punto di sosta obbligato per abbracciare in un solo colpo d’occhio il lago, il giardino inglese, il grande prato e la villa, che di questo spazio è il punto di fuga e che si specchia nelle acque.
Dopo il Ninfeo fu creato un giardino di ispirazione arabo moresca, voluto da Mimì per ricordare le sue origini spagnole per parte di madre e che si inserisce perfettamente nella parte di parco più disegnata e geometrica, di epoca barocca e manierista. Il Giardino Spagnolo, circoscritto da una siepe di alloro, occupa uno spazio rettangolare di dimensioni simili a quelle della Peschiera del Giardino dei Limoni con cui ha in comune l’esedra con decorazioni a rocaille, che in questo caso, tuttavia, ospita una monofora con una fontana che a cascata immette l’acqua in una vasca semicircolare, che a sua volta la fa confluire tramite un canale a una seconda vasca rettangolare. Da qui si dipartono due ruscelli a sinistra e a destra che percorrono il giardino, a guisa di un offset del perimetro, e si ricongiungono sul lato opposto in un’altra vasca rettangolare. I ruscelli a filo d’acqua sono interrotti, durante il loro corso, da quattro fontane rialzate. La rigorosa geometria dello spazio è duplicata nei camminamenti interni lastricati, che mettono in collegamento interno ed esterno frazionando ulteriormente la geometria, ripresa e sottolineata da piccole sfere di Euonymus japonicus ‘Aureomarginatus’ e da pillar piramidali rivestite di rose rampicanti.
Il Ninfeo fa anche da sfondo alla piscina, con trampolino e termosifone per riscaldare l’acqua, e agli spogliatoi progettati da Gréber in stile Art Déco.
Tutte le aree sono ingentilite da una vegetazione di arbusti e alberi che richiamano quelli del giardino paesaggistico e altri più piccoli di grande valore ornamentale quali Lagerstroemia indica. Gli interventi voluti dai coniugi Pecci Blunt ebbero il merito di fondere il passato con la contemporaneità.
Oggi la Villa Reale di Marlia appartiene alla coppia di mecenati svizzeri Grönberg che l’ha salvata dall’oblio in cui era caduta dopo la morte di Mimì, nel 1971. Facendosi carico di imponenti restauri, che hanno interessato tutte le architetture e il parco, colpito anche dalla tempesta di vento del marzo 2015, e in un dialogo continuo con la Sovrintendenza, hanno riaperto al pubblico uno dei complessi monumentali più eleganti d’Italia, dove arte, architettura e paesaggio si fondono armonicamente in un connubio perfetto.
Ospiti a Marlia
Grazie al fiuto di Mimì Pecci Blunt nel riconoscere il talento, alla sua giocosa personalità sociale e all’innata classe della coppia, la Villa Reale di Marlia divenne lo scenario delle visite estive degli amici dei Pecci Blunt, un salotto artistico-letterario e mondano, tra cultura, discrezione, jet set internazionale e grandi feste. Le firme sul loro libro degli ospiti comprendevano Vaslav Nijinsky e Salvador Dalì, Alberto Moravia e Harold Acton, Elsa Maxwell e il Duca e la Duchessa di Windsor, Indro Montaneli e Jean Cocteau, Paul Valery e Afro Basaldella solo per citarne alcuni. Fotografa provetta, Mimì immortalava i visitatori della villa e raccoglieva gli scatti in album e collage incorniciati e appesi nel portico degli spogliatoi della piscina. Tra i molti ospiti, Salvador Dalì, uno dei maestri della pittura del 900 che, nel suo soggiorno nella villa si è divertito a farsi ritrarre dalla Contessa nel celebre Teatro di Verzura, mettendo in scena le pose bizzarre che ne caratterizzeranno l’immagine pubblica negli anni successivi, fino alla morte e che contribuiranno a renderlo celebre anche tra i non addetti ai lavori.
Villa Reale di Marlia fa parte del Network Grandi Giardini Italiani (grandigiardini.it)
Foto courtesy: Villa Reale di Marlia e Grandi Giardini italiani
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