Al confine tra reportage e arte, il lavoro di Richard Mosse, fotografo  non è di semplice collocazione. Anche per questo la personale che la Fondazione MAST ha dedicato al fotografo irlandese si intitola “Displaced”. Il lavoro dell’artista infatti, produce attrazione e straniamento grazie a tecniche e strumenti che “alterano” la realtà e la rendono ipnotizzante, com’è nel caso della serie “Infra”, realizzata nella Repubblica Democratica del Congo tra il 2010 e il 2015. Richard Mosse, per Infra, ha scelto di utilizzare la pellicola a colori infrarossi Kodak Aerokrome, originariamente destinata a uso militare. Oggi non più in produzione questa pellicola cattura ciò che l’occhio umano non può vedere perché percepisce uno spettro luminoso più ampio. Nel farlo, altera i colori per come li conosciamo. “Scattare con la pellicola a infrarossi è scattare alla cieca perché non c’è modo di sapere come la luce reagirà e che risultato avrai” spiega il fotografo.

La mostra

Displaced, la prima mostra antologica dell’artista Richard Mosse presso la Fondazione MAST curata da Urs Stahel, ha presentato una selezione delle opere del fotografo irlandese, che indagano tra la fotografia documentaria e l’arte contemporanea su migrazione, conflitto e cambiamento climatico, che mirano a rappresentare e far scoprire quel confine in cui si scontrano i cambiamenti sociali, economici e politici. 

I lavori del fotografo spaziano da fotografie di grande formato fino a videoinstallazioni immersive. “Richard Mosse crede fermamente nella potenza intrinseca dell’immagine,” spiega il curatore Urs Stahel “ma di regola rinuncia a scattare le classiche immagini iconiche legate a un evento. Preferisce piuttosto rendere conto delle circostanze, del contesto, mettere ciò che precede e ciò che segue al centro della sua riflessione. Le sue fotografie non mostrano il conflitto, la battaglia, l’attraversamento del confine, in altri termini il momento culminante, ma il mondo che segue la nascita e la catastrofe. L’artista è estremamente determinato a rilanciare la fotografia documentaria, facendola uscire dal vicolo cieco in cui è stata rinchiusa. Vuole sovvertire le convenzionali narrazioni mediatiche attraverso nuove tecnologie, spesso di derivazione militare, proprio per scardinare i criteri rappresentativi della fotografia di guerra” 

Le opere

Verso la fine degli studi universitari nei primi del 2000, Richard Mosse iniziò a occuparsi di fotografia. Inizialmente i lavori dell’artista in Bosnia, in Kosovo, nella Striscia di Gaza, lungo la frontiera fra Messico e Stati Uniti, presentano solo paesaggi senza figure umane. Viene analizzata e fotografata solo l’area della zona di guerra dopo il conflitto, come a documentare il mondo dopo la catastrofe con immagini che mostrano la distruzione.

Tra il 2010 e il 2015 Richard Mosse si recò nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo per realizzare ‘Infra’ e ‘The Enclave’, complessa videoinstallazione in sei parti sullo stesso tema. Il Congo è ricco di risorse minerarie ed è una delle aree più ricche dell’intero continente africano ma è fortemente segnato da continue guerre e disastri umanitari. Le fotografie di ‘Infra’ rappresentano paesaggi dove il popolo cerca e trova riparo da un tragico conflitto. Richard Mosse, Trevor Tweeten e Ben Frost hanno realizzato per il Padiglione Irlandese alla 55° edizione della Biennale di Venezia nel 2013, ‘The Enclave’ , ispirandosi al romanzo ‘Cuore di tenebra’ di Joseph Conrad. La videoinstallazione in sei parti mostra il forte contrasto tra la natura della Repubblica Democratica del Congo e la violenza dei soldati dell’esercito e dei ribelli.

Dal 2014 al 2018 Mosse si è concentrato sulla migrazione di massa e sulle tensioni causate dall’apertura e chiusura dei confini, tra compassione e rifiuto, cultura dell’accoglienza e rimpatrio e ha realizzato con la stessa tecnologia ‘Heat Maps’ e la video installazione ‘Incoming’.

In questo caso Mosse impiegò una termocamera in grado di registrare le differenze di calore nell’intervallo degli infrarossi: invece di immortalare i riflessi della luce, registrò le cosiddette ‘heat maps’, le mappe termiche. Si tratta di una tecnica militare nota sin dalla guerra di Corea che consente di far risultare le figure umane fino a una distanza di trenta chilometri con immagini nitide, precise e ricche di contrasto.

Richard Mosse nel 2018 cominciò a esplorare la foresta pluviale sudamericana dove per la prima volta si è concentrato sul macro e sul micro, spostando l’interesse di ricerca dai conflitti umani alle immagini della natura. Grazie alla fluorescenza UV si analizza il sottobosco, i licheni, i muschi, le orchidee, le piante carnivore e, alterando lo spettro cromatico, i primi piani si trasformano in uno spettacolo di colori fluorescenti.

‘Tristes Tropiques’, la serie più recente dell’artista, racconta e descrive la biodiversità per far comprendere cosa possiamo perdere con il cambiamento climatico e gli interventi dell’uomo sulla natura. Tramite l’utilizzo di droni, ha rilevato le tracce visibili del fuoco che avanza lungo le radici delle foreste nel Pantanal, gli effetti dell’allevamento intensivo, delle miniere illegali per l’estrazione di oro e minerali. Il fotografo per scattare questa ultima serie ha utilizzato una tecnica che prevede l’uso di una forma di cartografia di resistenza che mostra i danni ambientali che non sono visibili per l’uomo a occhio nudo.

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