Terra di quiete e bellezza, di sorprese e meraviglia, permeata di storia e di cultura e che si ricrea continuamente nel tempo, pur restando se stessa, l’Isola Madre è un paradiso botanico e paesaggistico che affiora dalle acque del Lago Maggiore. E, come ogni giardino, racconta una storia, indissolubilmente legata al lago che regala un microclima mediterraneo, cullato dalle Alpi innevate.

La punta sud-occidentale dell’Isola Madre, una delle zone dedicate alla coltivazione delle piante da clima caldo, quali le Agave franzosini a foglia argentata che affiorano tra le rocce. In alto si nota la parte terminale del Viale delle Palme. Foto © Dario Fusaro. Courtesy Terre Borromeo

Appartiene ai principi Borromeo sin dal 1501 quando, poco più di uno scoglio con qualche casa, una chiesetta dedicata a san Vittore (che diede il primo nome all’isola), un piccolo cimitero e piante d’olivo, fu acquistata dal nobile Lancillotto Borromeo. I lavori di sistemazione e trasformazione del territorio tramite continui apporti di terra, per creare terrazze pianeggianti dove costruire un palazzo con giardino e coltivare viti e alberi da frutto, iniziarono nei primi anni del 500, quando fu anche assunto un ‘magistro per le piante’. Nella seconda metà dello stesso secolo, Renato I affidò a Pellegrino Pellegrini, detto il Tibaldi, che fu anche architetto del Duomo di Milano, i lavori per il completamento della residenza, in posizione dominante, sul punto più elevato dell’isola, e a Giovanni Antonio Maffezzoli, noto giardiniere, quelli di sistemazione del parco con piante allora rare e di cura dei fagiani e degli altri uccelli che erano stati introdotti.

Risale a quest’epoca l’aggiunta della coltivazione degli agrumi: varietà di limoni, cedri, pomeli e arance che erano destinati alle mense dei Borromeo e ai profumieri di Basilea e Berna. Ancora oggi, seppur in quantità minore, questi frutti vengono coltivati nel viale degli agrumi e pervadono l’aria dell’inconfondibile profumo dei loro fiori. Si narra che già nel 1599, quando il duca Carlo Emanuele di Savoia riparò sull’isola per sfuggire al contagio della peste, i giardini fossero talmente belli da conquistare l’illustre ospite e indurlo a dire al conte che avrebbe dato in cambio una delle sue città pur di possedere quei luoghi. Nei secoli successivi l’isola, che nel 1600 aveva assunto il nome di Isola Madre, continuò ad accogliere nuove varietà di agrumi e di frutti rari ma anche di alberi, arbusti e piante da fiore. Grazie a Vitaliano IX, botanico appassionato, che nell’800, in piena epoca del giardino paesaggistico all’inglese e di esplorazioni botaniche, avviò una rete di scambi con i cacciatori di piante, in particolare con Josepf B. Pentland, e proprietari di giardini in tutto il mondo, fu trasformata in un parco romantico, con boschetti alternati a grandi distese lasciate a prato, viali sinuosi che racchiudono piccoli giardini, scorci prospettici, cannocchiali visivi su Baveno e su Pallanza, le terrazze fiorite e, ovviamente, collezioni di piante esotiche e rare.

Una vista del Piazzale della Cappella e del Palazzo Borromeo, sullo sfondo. In prima piano la vasca ellittica con le ninfee e altre specie acquatiche, circondata da piante stagionali dalla lunga fioritura e punteggiata da vasi con composizioni fiorite e da esemplari di Butia capitata. Foto © Dario Fusaro. Courtesy Terre Borromeo

L’isola fu progettata per sentirsi magicamente privata, quasi un mondo a parte, con atmosfere rarefatte e scenografie da sogno, allietata dalla presenza di pavoni, fagiani e pappagalli che ancora oggi vi sono allevati. Il collezionismo botanico da allora non conobbe sosta, ed è tuttora in costante svolgimento, con continue introduzioni di nuove specie e soprattutto di nuove varietà che vanno ad arricchire il già ampio patrimonio di oltre 2.000 specie di piante, alcune rarissime, che provengono da tutti i continenti. Qui si coltivano all’aperto piante della fascia tropicale e subtropicale, che neppure nella non lontana Isola Bella o sulle rive del Lago Maggiore riescono a prosperare, grazie alla radiazione solare e all’effetto mitigatore del lago che regala temperature minime invernali superiori anche di 5°C rispetto ai dintorni e che molto difficilmente, se non mai, scendono al di sotto dei 3 – 5°C. L’acqua, raffreddandosi in inverno più lentamente dell’aria, conserva il calore e lo rilascia gradualmente in superficie, mentre in estate assorbe il calore dell’aria a contatto, rinfrescandola; e questo effetto è tanto più consistente quanto più una zona è circondata dall’acqua e non a caso l’Isola Madre è la più centrale del lago. La forma dell’isola, la sua diversa esposizione al sole e ai venti e una piovosità non eccessiva e comunque ben distribuita nell’arco dell’anno creano microclimi diversi che consentono la coltivazione di piante da clima fresco nelle zone esposte a nord – nord est e di piante da clima caldo in quelle esposte a sud. Una ricchezza botanica quanto mai diversificata, sapientemente coltivata e custodita da mani capaci.

I semi che Vitaliano IX scambiò o fece arrivare sono attecchiti e sono spesso alberi maturi, quali Sequoiadendron giganteum, una conifera originaria della California, nota, nel suo paese d’origine, per essere l’albero più grande quanto a volume (primato detenuto dall’imponente Generale Sherman, che si ritiene abbia tra 2.300 e 2.700 anni) oppure Taxodium distichum (cipresso calvo), dagli Stati Uniti sudorientali, una delle pochissime conifere decidue i cui aghi in autunno si colorano vistosamente di arancio prima di cadere e caratterizzata dalla presenza, nei pressi del fusto, di pneumatofori, protuberanze con funzione respiratoria che consentono alla pianta di vivere anche in luoghi molto umidi se non addirittura con le radici sommerse. Entrambe possono essere ammirate nel Prato dei Gobbi (gli pneumatofori, appunto), insieme a grandi esemplari di Rhododendron arboreum che hanno raggiunto la maturità.

Il cipresso del Kashmir (Cupressus cashmeriana) è una storia a sé. Pentland ne inviò i semi, giunti dall’Arunachal Pradesh, sicuro che sarebbe stato perfetto per il Lago Maggiore ed ebbe ragione: è l’esemplare più antico d’Europa, il simbolo dell’Isola e a lui è dedicata la Loggia del Cashmir, antistante il palazzo. Seppur vittima di un fortunale che lo sradicò nel 2006, è stato recuperato grazie a un’ingente e complessa operazione di ripristino che solo i principi Bona e Giberto Borromeo avrebbero, come hanno, affrontato, e, risollevato e ancorato al terreno tramite appositi tiranti messi in tensione, costantemente monitorato, è tornato a vegetare e a svilupparsi. Icona di resilienza, il cipresso, tra le piante dell’isola, è quella a cui si sente maggiormente legata la principessa Marina Borromeo.

Il patrimonio arboreo dei giardini comprende anche, tra i tanti, una magnifica Cinnamomum camphora, originario di Giappone, Corea e Taiwan, nel Piazzale dei pappagalli, un Ginkgo biloba, di origine cinese, una specie vissuta a fianco di piante e animali estinti da tempo, prima che i continenti australi si separassero dall’Antartide; le sue magnifiche foglie flabellate in autunno diventano color oro suscitando stupore alla fine del viale delle Palme, dove, invece, a fine primavera sono Halesia diptera e H. carolina ad attirare l’attenzione con lo spettacolo delle loro fioriture candide. Nel viale Africa, ben esposto a sud, sono coltivati alberi da clima caldo come Quillaja saponaria, dal Cile, dai fiori bianchi che come piccole stelle la rivestono in estate, Myrica cerifera, proveniente dalle coste atlantiche degli Stati Uniti e dell’America centrale, dai fusti contorti e grappoli di caratteristiche bacche cerose grigio-azzurre e una collezione di varie specie di Eucalyptus, originari dell’Oceania, con caratteristiche cortecce e fogliame spesso argentato.

Isola Madre
Una vista primaverile di un viale secondario dal Piazzale dei Pappagalli, quando sono in fiore gli antichi Rhododendron arboreum, ormai piccoli alberi. Sulla sinistra, un giovane Ginkgo biloba che in autunno illuminerà il prato con le sue caratteristiche foglie a ventaglio che si colorano d’oro. Foto © Dario Fusaro

L’Isola Madre è nota per le sue collezioni ragguardevoli di piante la cui fioritura caratterizza una stagione o un’intera zona. La più famosa è quella delle camelie e fu iniziata nel 1828 da Vitaliano IX e dai suoi giardinieri, Giuseppe e Renato Rovelli, che ibridarono camelie a fioritura primaverile simbolo dei giardini, quali Camellia japonica ‘Gloria delle Isole Borromee’ (1845), C. j. ‘Gloria del Verbano’ (1845), C. j. ‘Bolongara’ (1843) e altre e molte ne fecero arrivare: il Piano delle Camelie, appositamente predisposto per ospitarle non fu più sufficiente. Erano circa 500 varietà ed erano ovunque; in quel periodo, infatti, l’isola fu nota come ‘isola delle camelie’. La fortuna di questa pianta in Italia e la sua coltivazione nei vivai specializzati del Lago Maggiore, dove ha trovato una seconda patria, si deve principalmente alla iniziale collezione dei Borromeo, i primi a piantarla in un giardino del Nord Italia (la prima camelia introdotta in Italia giunse alla Reggia di Caserta nel 1760). Molte varietà antiche sono andate perse ma le sopravvissute sono oggi piccoli alberi. A partire dal 900 furono introdotte nuove varietà di Camellia japonica e oggi la collezione ne conta circa 150, tra cui la particolarmente amata ‘Hagoromo’, ibridata in Giappone nel 1695 e importata in Italia a fine 800. L’arricchimento della collezione ha portato soprattutto altre specie, quali la C. sinensis (dalle cui foglie si ricava il tè ) di cui si ammirano piccoli alberi nel Prato dei Gobbi, C. cuspidata, C. granthamiana, C. saluensis, C. salicifolia, C. sasanqua, C. transnokoensis. Insieme ad altre Theaceae come Gordonia axillaris, Pyrenaria e Franklinia alatamaha e a Cleyera japonica e Ternstroemia (ora spostate nella famiglia delle Pentaphylacaceae) occupano un boschetto nei pressi della Loggia del Cashmir. Sin dalla fine del 700, invece, sono documentati gli acquisti delle Magnolia. Da poco, nel 1750, era giunta in Italia M. grandiflora, magnifico albero sempreverde originario del sud degli Stati Uniti, che a inizio di giugno produce grandi fiori bianchi e profumati; sull’isola ci sono esemplari maturi isolati e altri raggruppati a formare alte siepi nel viale che dal Piazzale dei Pappagalli conduce al Belvedere da cui si gode una vista su Pallanza.

Con le scoperte di nuove specie e la creazione di nuove cultivar, la collezione si è progressivamente arricchita di magnolie decidue a fioritura primaverile e di altre sempreverdi. Si passa dalle romantiche e ben conosciute M. x soulangeana e M. stellata, alle M. denudata, di origine cinese, dai fiori che profumano di arancio e una dei genitori di M. x soulangeana, e M. acuminata, nordamericana che è l’unica specie a vantare fiori gialli e che è stata usata nell’ibridazione per ottenere varietà di questo colore, quali ‘Yellow Bird’, oppure M. kobus, dalla fioritura bianca eccezionalmente prolifica, che riveste completamente la pianta, fino aM. figo, sempreverde dai fiori con una fragranza fruttata simile a quella di una banana matura. A loro è dedicata una zona vicina al Piazzale dei Pappagalli, per poter apprezzare l’esplosione delle loro fioriture, precedute da quelle delle Daphne bholua ‘Jacqueline Postill’ e ‘Peter Smithers’, generalmente arbusti ma qui piccoli alberi, sempreverdi a fioritura tardo invernale intensamente profumata.

In epoca più recente, la collaborazione dell’allora appassionato curatore botanico delle isole, Gianfranco Giustina, con Sir Peter Smithers ha portato alla creazione di una delle prime collezione di glicini (Wisteria) in Italia: 24 cultivar delle 4 specie esistenti: sinensis, di origine cinese, il glicine più noto, floribunda, di origine giapponese e con fiori eccezionalmente lunghi, brachybotrys, originario di Cina e Giappone e con fiori corti e frutescens, di origine statunitense, il primo ad arrivare in Europa, nel 1724, circa 100 anni prima di quello cinese, e con la peculiarità di fiorire sui rami dell’anno. Tutte rimarchevoli quanto a bellezza e grazia dei racemi, in particolare le varietà di W. floribunda, si arrampicano sui archi disposti lungo una scalinata che anticamente conduceva al vecchio cimitero dell’isola e che ora si chiama Scalinata dei Glicini oppure su un’altra scala che dal Piazzale della Cappella guida i visitatori verso l’uscita o alla Terrazza degli Agrumi. Particolarmente apprezzate W. b. ’Murasaki Kapitan’ dai grappoli eleganti viola lavanda intensamente profumati e W. f. ‘Longissima Alba’, la regina delle varietà a fiore bianco, con grappoli lunghi fino a 60 cm di piccoli fiori profumatissimi.

Sir Peter è stato un diplomatico britannico con una grande competenza e passione per le piante e che al termine della sua carriera si ritirò a Vico Morcote, sul Lago di Lugano, dove coltivò un giardino eccezionale e si dedicò all’ibridazione; la sua collaborazione si rivelò fondamentale per una grande quantità di piante che oggi sono sull’isola, non solo, come detto, per i glicini, ma anche, ad esempio, per le Magnolia, di cui fu instancabile ibridatore.
La ricerca di specie da far acclimatare e che completassero il giro del mondo botanico ha condotto a due collezioni di piante che provengono da luoghi distanti tra loro: Vanuatu, da dove hanno origine gli Hibiscus rosasinensis e Sud Africa e Oceania, luoghi d’origine delle Proteaceae. I primi sono arbusti noti per le loro grandi corolle, che possono raggiungere i venticinque cm in alcune cultivar e vantano un caleidoscopio di colori. Sull’isola se ne coltivano circa un centinaio di varietà, a fiore singolo, caratterizzato da una lunga colonna staminale, oppure doppio, che la nasconde parzialmente. Sono una delle glorie dell’estate insieme a Bougainvillea, Ipomea lehari, lantane e stagionali dai fiori vivaci.

Le Proteaceae, invece,  sono l’ultima collezione realizzata, frutto di continui tentativi, osservazione e studio durati oltre venti anni. È stato necessario dedicare loro una delle zone meglio esposta al sole e protetta a nord da un’alta siepe di lecci, ma finalmente ora nella Terrazza delle Protee fioriscono molte specie di Leucadendron e di Protea, Banksia serrata, Chamelaucium uncinatum, Serruria florida, Telopea accompagnate da Geranium maderense e Argyranthemum frutescens. Vi si giunge percorrendo il Viale delle Palme, lungo il quale Jubaea chilensis, Butia capitata e qualche Phoenix canariensis punteggiano il percorso, alte e maestose. L’isola, nelle zone più riparate, accoglie felci rare come Woodwardia radicans, le cui foglie possono superare i cinquanta cm di lunghezza, o spettacolari come Osmunda regalis e Dicksonia antarctica.
La progettazione dei giardini, la scelta delle specie e dei luoghi in cui metterle a dimora e degli accostamenti sono state oggetto, negli anni, di valutazioni ponderate per far apparire le specie esotiche come una componente naturale del paesaggio e la ricchezza botanica come un elemento di attrazione e di educazione. L’ Isola Madre stupisce con le sue continue metamorfosi, pur mantenendo il suo ruolo che consiste nell’invitare a riprendere contatto con la natura e a lasciarsi andare al puro piacere della sua compagnia. Attraverso costanti cambiamenti preserva la sua identità ed entra nella storia per trovare pace nella lunga durata.

L’Isola Madre fa parte del Network Grandi Giardini Italiani.

Isola Madre
Una vista della Terrazza delle Protee, con in prima piano Leucospermum cordifolium e Argyranthemum frutescens e sullo sfondo Geranium maderense, Protea cynaroides ed Echium pininana. Foto © Dario Fusaro. Courtesy Terre Borromeo

L’ Isola Madre, pur nelle sue continue metamorfosi, conserva intatta una forte identità: un incantevole Eden di impareggiabile ricchezza botanica. 

Testo di Elisabetta Pozzetti 

Foto di Dario Fusaro, courtesy Terre Borromeo

©Villegiardini. Riproduzione riservata

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