Il Parco della Fondazione Minoprio è un esempio virtuoso di come la trasformazione di una proprietà privata in un ente possa avere ripercussioni positive nella sua gestione.
La campagna lombarda, in particolare a nord di Milano e intorno ai laghi prealpini, è costellata da ville gentilizie che tra il 600 e l’800 hanno raggiunto il massimo splendore. Realizzate non solo per vivere ma anche per trascorre periodi di vacanza, e per questo corredate di parchi adeguati, sono state tutte concepite per incantare e offrire delizia, oltre che per celebrare la magnificenza dei loro committenti.

Una vista della collezione di aceri giapponesi dal margine occidentale del parco attraverso gli alberi: si nota Cedrus atlantica ‘Glauca’. Foto di Dario Fusaro
©Archivio Grandi Giardini Italiani

Le vicende famigliari in molti casi hanno comportato cambi di proprietà o di destinazione d’uso, con esiti non sempre virtuosi. Il caso della Fondazione Minoprio, a Vertemate con Minoprio in provincia di Como, e del suo parco, tuttavia, sono un esempio riuscito ed esemplare di come la trasformazione, quando ben gestita, possa incidere favorevolmente sulle sorti di una grande proprietà che affonda le sue radici nella storia. L’attuale Fondazione, nata nel 1981 in sostituzione del Centro Lombardo per l’Incremento della Floro Orto Frutticoltura – Scuola di Minoprio, insiste su quello che era uno dei molti possedimenti dei Marchesi Raimondi, potente famiglia del Patriziato comasco, e comprende la villa antica, il suo parco, la tenuta agricola, serre di collezione e produzione, un moderno centro di formazione a più livelli (Istituto Tecnico Agrario, corsi post diploma ITS Accademy, Istruzione e Formazione Professionale, e laboratori di ricerca collegati all’università Statale di Milano) e annesso convitto per gli studenti fuori sede. Cuore della Fondazione sono senza dubbio Villa Raimondi, oggetto di recenti restauri che l’hanno riportata al suo antico splendore, e il suo parco, curato, ampliato e arricchito negli anni.

L’edificio attuale si deve all’intervento di Simone Cantoni, allievo del Vanvitelli e uno dei più rappresentativi architetti del primo Neoclassicismo europeo, autore della realizzazione o ristrutturazione secondo gli stilemi neoclassici di molte ville e palazzi importanti, a iniziare da Villa Olmo a Como e da Palazzo Serbelloni a Milano. Pietro Paolo Raimondi nel 1789 si affidò a Cantoni per adeguare l’estetica della villa al nuovo stile che si stava diffondendo e ampliarla, in seguito all’acquisto di un brolo adiacente, aprendo anche un affaccio a est verso un nuovo lato del parco, in asse con l’ingresso. È singolare come numerose e documentate siano le testimonianze relative alla villa mentre scarse per non dire quasi nulle quelle riferite al parco, una considerazione che potrebbe far supporre che il committente fosse o desiderasse passare per ideatore del suo progetto.

Gli eredi Raimondi ebbero sorti alterne e non tutti si occuparono della villa, alcuni limitandosi a viverla, altri a farla gestire da contabili, altri invece (Giorgio Giuseppe Raimondi) dilapidando il cospicuo patrimonio per finanziare le iniziative per l’Unità d’Italia, compresa la Spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi. Da fine 800 iniziò una serie di passaggi di proprietà ai quali pose fine nel 1926 l’avvocato milanese Enrico Sibilia, che acquistò l’intera tenuta. Appassionato di botanica e collezionista di specie rare, si dedicò ad arricchire quello che oggi viene definito Parco Vecchio, immediatamente prospiciente la villa, mettendo a dimora alberi di pregio, che andarono ad aggiungersi a quelli esistenti, quali una secolare e magnifica Sophora japonica var. pendula (ridenominata Styphnolobium japonicum) e collezioni di arbusti che oggi, maturi, sono uno dei vanti del parco.

A sottolineare l’asse est in discesa verso i boschi e le campagne, Sibilia piantò sulla sinistra un lungo filare di cipressi e, per indurre il visitatore ad addentrarsi nella parte destra, creò un sentiero sinuoso a circondare una vasta area lasciata a prato e che si fa strada tra conifere, ippocastani, agrifogli, platani, tassi, un boschetto di Magnolia grandiflora che fanno da sfondo a una ricca collezione di rododendri e azalee che, quando in fiore, sono un incanto. Sempre in questo lato del parco, ma verso quello disposto accanto all’ala sud della villa, piantò una rarità per i tempi, una Magnolia macrophylla e una Tilia cordata, oggi esemplari. Nella parte di giardino rivolta a sud creò inoltre un viale centrale, che parte dalla villa e culmina con una fontana circolare, lungo il quale mise a dimora una quinta verde di alberi e ancora una collezione di azalee e altre piante acidofile, tra cui alcune, ora grandi, Kalmia latifolia, che in questi luoghi prosperano grazie a un terreno tendenzialmente acido.

Sibilia in questo tratto, come ovunque, non seguì uno schema lineare di piantagione al punto che è necessario percorrere il tragitto nei due sensi di marcia perché siano rivelate tutte le piante e le loro associazioni. Il lato ovest del viale è anche punteggiato in lontananza da alcune statue poste davanti a una quinta di carpini. Nel 1962 l’ormai anziano avvocato donò villa, parco e tenuta agricola alla Cariplo (Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde). Il presidente della banca, Giordano Dell’Amore, non volendo snaturare l’essenza del complesso ebbe l’intuizione di creare una scuola, su modello della svizzera Ecole d’horticulture di Lullier, i cui primi corsi si tennero nell’anno scolastico 62 – 63. Da allora insegnanti e allievi si sono dedicati all’ampliamento del parco, che ha raggiunto l’estensione di circa sette ettari, al suo arricchimento botanico, al disegno e, ovviamente, alla sua gestione oculata e ottimale. Il Parco Nuovo inizia esattamente dove si concludeva quello Vecchio, con la fontana al termine dell’asse sud accanto a una Melia azedarach, difficilmente rintracciabile in altri giardini della Brianza.

Da qui si dipartono viali che consentono di percorrerlo in tutta la sua estensione; in particolare uno, intorno a un grande prato ovaleggiante, è punteggiato da grandi alberature di pregio messe a dimora dai primi allievi della Scuola con fini didattici ed estetici. Accanto a faggi rossi si incontrano cipressi del kashmir, larici, Liriodendron tulipifera, Metasequoia glyptostroboides, Cedrus atlantica e C. deodara, Fagus sylvatica ‘Asplenifolia’, Liquidambar styraciflua, querce e querce rosse, Pseudotsuga menziesii e molti altri. In totale gli alberi in tutto il parco sono 423 suddivisi in 105 taxa. In un’area accanto alla fontana si trovano dislocati piccoli giardini tematici didattici e dinamici, curati e seguiti dagli allievi dei vari corsi della Fondazione e che hanno come sfondo un pergolato su cui sono guidate 17 specie e varietà di glicine, oppure un gazebo su cui si arrampicano rose, o ancora gruppi di arbusti da collezione. È una zona molto vivace e che muta nel corso delle stagioni con una briosa alternanza di fioriture, colorazioni delle foglie, presenza di bacche e un singolare labirinto fatto con spalliere di edera.

Una vista di una delle bordure dell’asse sud nel Parco Vecchio dalla bordura opposta, sotto ai carpini: si notano rododendri, azalee, Kalmia latifolia, Edgeworthia chrysantha, Loropetalum chinense. Foto di Dario Fusaro ©Archivio Grandi Giardini Italiani

Poco più avanti un filare di Cercidiphyllum japonicum, ai cui piedi trova posto una bordura di arbusti ed erbacee da ombra, prosegue con una collezione di camelie, a fioritura primaverile e autunno-invernale, e di rododendri, con Styphnolobium japonicum sullo sfondo ad alzare il punto di osservazione, fronteggiati da un’altra collezione che annovera oltre 50 aceri giapponesi. Non c’è un periodo dell’anno in cui questo tratto del parco non desti meraviglia. Le camelie, inoltre, sono presenti qua e là in molti punti del parco, come pure i rododendri e le azalee. Due viali rettilinei e paralleli tra loro, separati da un grande rettangolo in erba, proseguono dalla fontana circolare e sono caratterizzati l’uno dalla presenza di una collezione di peonie erbacee, arbustive e Itoh, accuratamente selezionate e disposte per prolungare il periodo di fioritura, l’altro da un’allegra bordura di piante annuali che si rinnovano di stagione in stagione. Dai margini meridionali del parco, dopo una quinta di piccoli alberi e arbusti, si raggiungono le serre destinate alla produzione delle piante che verranno messe a dimora nella varie aiuole e bordure, e le due serre di piante tropicali e mediterranee.

Quello della Fondazione Minoprio è un parco botanico e paesaggistico in cui la differente epoca di impianto non è più percepibile: gli alberi messi a dimora dai primi allievi sono cresciuti, anche grazie a un terreno particolarmente fertile, e mantenuto tale, e a un microclima ideale e sono una presenza silente ma rassicurante, come dei custodi che raccontano gli episodi del passato. I grandi prati donano un ampio respiro, la varietà e dinamicità degli arbusti, circa 1.600, tiene viva l’attenzione ma senza impegnare all’osservazione un visitatore che vuole solo godere della bellezza della natura, riempiendosene l’anima. La presenza della scuola, coi suoi vari livelli di formazione, è il plus di questo luogo, che può avvantaggiarsi di una gestione ordinaria e straordinaria con personale tecnicamente preparato e con metodi all’avanguardia. Tutto concorre a fare sì che il parco rappresenti un luogo in cui per il visitatore il tempo sembri fermarsi.
Il Parco della Fondazione Minoprio fa parte del Network Grandi Giardini Italiani. fondazioneminoprio.it

Elisabetta Pozzetti

Villegiardini. Riproduzione riservata

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