Il mondo di Keith Haring fatto di fumetti e murales affascina da sempre il pubblico di tutto il mondo. Keith Haring (vero nome Keith Allen Haring) è oggi annoverato tra i più influenti artisti americani del XX secolo. Nato a Reading in Pennsylvania nel 1958, muore giovanissimo a 31 anni di AIDS nel 1990 a New York.

Le origini di Keith Haring

L’artista rivela da subito il proprio talento entrando alla Ivy School of Professional Art di Pittsburgh dove studia e si appassiona alla ricerca artistica di Pablo Picasso. Seguendo la passione del padre che, ingegnere con la passione del fumetto, si dedica fin da giovane al disegno di fumetti animati. In questi primi anni riceve un’educazione cristiana, che avrà un suo peso nella sua crescita e che si ritrova in tante opere successive, come “I dieci comandamenti” del 1985. Figlio del suo tempo, gira gli Stati Uniti, anche in autostop, venendo in contatto con le nuove forme culturali, tra cui street art che ha un impatto decisivo: la sua maturazione non a caso si deve in particolare all’ambiente newyorkese e ad artisti come Pierre Alechinsky e Christo Javasev.

Keith Haring
By Real OB459 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=117036276

Keith Haring e il successo a New York

Nel 1978 si trasferisce a New York dove si iscrive alla Scuola di Arti Visive che presto abbandonerà per immergersi totalmente nel grande fermento artistico della città e dove si radica in lui l’esigenza assoluta di un’arte basata sul “movimento” comprensibile e fruibile da tutti: il mondo intero doveva essere il suo pubblico. Dopo un inizio forse non del tutto positivo, la sua forma d’arte estremamente riconoscibile gli vale un grande successo sin dalla prima personale nella Galleria di Tony Shafrazi. Alcune sue opere diventano presto immagini di massa tanto che la loro riproduzione è da allora fino ai giorni d’oggi presente ovunque: dai graffiti ai murales delle maggiori città a moltissimi prodotti di uso comune, dalle magliette agli elementi di arredamento.
Se pensiamo a Keith Haring pensiamo, tra le altre cose, alla pop-art, un’arte che vuole essere facilmente compresa tanto è vero che molte sue opere non hanno un titolo perché il pubblico potesse avere attraverso la sua personale interpretazione un ruolo veramente attivo senza alcun condizionamento e quindi che l’arte diventi “qualcosa che libera l’anima, favorisce l’immaginazione ed incoraggia la gente ad andare avanti”.

Il suo mondo artistico fatto di omini radianti (Radiant babies), di cani che latrano (Barkings dogs) circondati da tante figure comuni, dalle televisioni a altri elementi banali per lo più rossi-gialli-verdi-blu contornati da un tratto nero esprimono tutti i sentimenti dell’uomo e si trovano, proprio per la sua grande produttività, presto ovunque. Pensiamo a “Tuttomondo”, murales inneggiante alla vita e alla felicità, realizzato nel 1989 sul muro esterno della Chiesa di Sant’Antonio a Pisa, a “Crack is Wack” del 1986 a New York e tantissime altre produzioni.

Keith Haring
We the Youth, Keith Haring, Murales a New York in Ellsworth Streets (fonte flickr)

Morte e impegno sociale

Keith Haring
Immagine tratta dalla mostra del 2012 “Keith Haring: 1978–1982” al
Brooklyn Museum

Tra le opere più note di Keith Haring va citata anche “Heart” del 1982 in cui due persone, di cui non si comprende il genere, danzano di fronte a un cuore che è luce e al tempo stesso colonna sonora della scena ritratta.

L’amore in tutte le sue forme è al centro della concezione dell’esistenza dell’artista, che visse sempre apertamente la propria omosessualità e impiegò la propria arte e successo quale strumento di politica attiva per difendere i più deboli e i diritti LGBT+. Ammalatosi di AIDS nel 1982 a soli 24 anni, divenne un fervente sostenitore di numerose campagne sociali: dalla campagna a favore del Sud Africa (Free South Africa 1985), a quella contro la guerra (“Make Art No War) a quella per la diffusione della educazione sessuale nelle scuole anche per prevenire l’AIDS. Fu tra i primi personaggi pubblici a parlare apertamente della malattia e a sensibilizzare la società al riguardo.

Sabino Maria Frassà

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