Uno dei segni distintivi del mondo contemporaneo è la specializzazione. Il nostro mondo è un mondo di specialisti, in ogni campo. Questo discorso è valido tanto più nel mondo dell’arte. Tuttavia ci sono delle aree ibride in cui persiste una specie di sapienza antica, di quel mondo antico che non conosceva la specializzazione. Aree in cui i saperi si con-fondono, nel senso di fondersi insieme. Un esempio? Andrea Branzi: architetto, designer, pensatore, artista. Ed ecco che le categorie per definire Andrea Branzi vanno in crisi e noi facciamo un po’ più di fatica nel parlare della sua carriera. Questo accade se restiamo nella prospettiva moderna, troppo moderna. Andrea Branzi va trattato, invece, alla stregua di un antico.
Un antico che si serve di un’arte modernissima. Un paradosso? Probabile. Ma è dai paradossi che nasce lo sconvolgimento, la meraviglia, lo stupore, la quintessenza dell’arte.

D’altronde, qual è stato il senso del concetto di architettura radicale, di quel movimento sperimentale sviluppatosi tra il 1960 ed il 1975 e di cui Archizoom – la creatura di Andrea Branzi – è stata nobile portavoce italiana, se non quello di appropriarsi di una visione totale, unitaria e mai specialistica del pensiero creativo?

Altri luoghi è il titolo della mostra dedicata ad una serie di sculture inedite ed eccentriche di Andrea Branzi; mostra accolta dall’8 febbraio all’11 marzo presso lo spazio di Antonia Jannone, in Corso Garibaldi, a Milano. E  non poteva essere altrimenti, vista la vocazione dello spazio ospitante, da sempre interessato ad esplorare l’arte sconfinata, senza confine, o meglio a stare sul confine in cui tutto assume un carattere ambivalente, basta girare leggermente lo sguardo. Nello spazio in cui da sempre design e arte, ancora una volta, si con-fondono.

Le sculture di Branzi, che saranno in esposizione, vanno a dar vita a delle vere e proprie scenografie, che si appropriano dello spazio e rendono degli ambienti misteriosi. Sono sculture realizzate con i più disparati materiali: il vetro, il plexiglas, la plastilina e la creta. I soggetti sono perlopiù piccoli lottatori e danzatrici.

In mostra anche i disegni a matita e pennarello su carta della serie Dolmen, la sua recente serie di sculture-maquette, che proprio Antonia Jannone aveva presentato nel 2015, prima dell’acquisizione da parte del dipartimento di design del Centre Pompidou di Parigi.

Abbiamo parlato di sculture ma si tratta di sculture che restano pur sempre architettura. Architettura integrale. In che termini? Lo ha spiegato proprio Andrea Branzi: “Sono modelli teorici di spazi interni, microambienti mitici e misteriosi. Non si tratta di progetti destinati a una normale attività professionale, ma esperimenti sul valore letterario e drammaturgico della progettazione. Questo tipo di ricerca tende a elaborare icone germinali che nel tempo possono influire sulla cultura del progetto, verso una dimensione non esclusivamente compositiva. Si tratta, quindi, di ricerche indirizzate ai “tempi lunghi”, simili a quella svolta della fisica teorica, che anticipa e stimola la fisica applicata”.

 

 

Piero Di Cuollo

Via Elledecor Italia