L’ingegnere svizzero Robert Maillart (1872-1940) ha sfruttato le potenzialità tecniche del cemento armato evolvendole in una nuova estetica, nell’intreccio, quello tra forma e struttura, che ha segnato la sua intera carriera professionale. È ricordato soprattutto come il progettista di numerosi ponti costruiti tra i paesaggi naturali della alpi, ritratti in fotografie esposte alla mostra a lui dedicata tenutasi al MoMA di New York nel 1947. Secondo il critico Sigfried Giedion, curatore della retrospettiva, “i ponti di Maillart erano a volte sull’orlo dell’impossibile, ma erano giusti, erano emozionanti ed erano belli“.

Robert Maillart, formazione ed esordi professionali

Nato a Berna nel 1872, Robert Maillart ha conseguito la laurea in ingegneria strutturale presso l’Istituto Federale di Tecnologia di Zurigo (ETH) nel 1894. Durante il percorso di studi ha frequentato con particolare interesse le lezioni di Wilhelm Ritter, che proponeva un approccio differente alla progettazione strutturale rispetto a quello adottato dall’accademismo dell’epoca. Infatti, il professore, invece di basarsi unicamente sull’uso di geometrie che potevano essere facilmente analizzate con la matematica, è stato il capofila di una soluzione più empirica. Il metodo di Ritter consisteva nel valutare i risultati basati su indagini semplici, considerando attentamente il processo di costruzione della struttura e sottoponendola a prove di carico. Rober Maillart ha poi perfezionato il procedimento, giungendo ad un’evoluzione delle stesse forme consolidate.

L’incontro con François Hennebique è stato fondamentale nella maturazione del giovane ingegnere svizzero, che ha avuto modo così di approfondire la conoscenza della tecnologia costruttiva del cemento armato, testimoniata dalla realizzazione di un sanatorio a Davos. Nel 1901 è stato costruito il suo primo ponte a Zuoz, sul fiume svizzero Inn, il quale ha impressionato la critica per la leggerezza della forma restituita attraverso una struttura monolitica e snella.

Nel 1902 ha fondato il suo primo studio e, quattro anni più tardi, ha completato la sua seconda opera infrastrutturale sul Verder-Rhine in Svizzera: il Ponte Tavanasa. Il sistema statico utilizzato da Maillart è stato quello dell’arco a tre cerniere tradotto, con un completo senso di coerenza formale, nella composizione della figura d’insieme.

Il periodo in Russia e il ritorno in patria

Robert Maillart si è trasferito con la sua famiglia in Russia nel 1912 dove, per circa cinque anni, ha coordinato la costruzione di grandi fabbriche e magazzini tra le città di Kharkov, Riga e San Pietroburgo. Improvvisamente, la morte della moglie prima e lo scoppio della Grande Guerra con la parallela rivoluzione russa poi, lo hanno spinto a tornare in Svizzera con i suoi tre figli.

Magazzini Generali con Punto Franco di Chiasso (1924-25)

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La tettoia dei Magazzini Generali con Punto Franco di Chiasso © Хрюша (CC BY-SA 3.0)
L’interno del volume pluripiano dei Magazzini Generali con Punto Franco di Chiasso © Хрюша (CC BY-SA 3.0)

Dopo mesi di lenta ripresa, costretto a lavorare con altre aziende al fine di saldare i debiti con le banche svizzere accumulati per la costruzione di industrie russe mai ultimate, durante gli anni venti del Novecento progetta i Magazzini Generali con Punto Franco di Chiasso. L’intervento di Robert Maillart comprende la realizzazione di un volume pluripiano e della prospicente tettoia. Nell’edificio principale ha utilizzato un sistema di solai senza travi, concepiti come piastre in cemento armato, sostenuti da pilastri ‘a fungo’ che in sommità aumentavano la loro sezione per rispondere meglio alle sollecitazioni. Il secondo spazio coperto, destinato al ricovero della merce, trasmetteva un senso plastico ancora maggiore. Maillart ha lavorato il cemento armato generando una sequenza di capriate poggiate su supporti che enfatizzavano il diagramma delle forze a cui era sottoposta l’architettura. Entrambe le strutture hanno contribuito a sottolineare la carica innovativa delle sue sperimentazioni, applicata anche nella progettazione dei ponti del decennio successivo.

I ponti di Robert Maillart progettati durante gli anni ’30

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Robert Maillart, Ponte di Vessy sull’Avre, 1936 © Port(u*o)s (CC BY 3.0)

Robert Maillart, negli anni trenta, ha progettato una serie di ponti in cemento armato che interpretavano le forme naturali del paesaggio alpino svizzero, in una continua ricerca figurativa conclusasi con la realizzazione del Ponte di Vessy sull’Avre (1936). Le opere di questi anni gli sono valse, nel 1936, l’elezione a membro del Royal Institute of British Architects (RIBA). La sua brillante carriera professionale si è conclusa nel 1939, un anno prima della sua morte, con il disegno della Cement Hall per l’Esposizione nazionale di Zurigo, descritta da una sezione parabolica e concepita come un guscio strutturale in calcestruzzo poggiante su quattro sottili pilastri.

Ponte Salginatobel (1930)

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Robert Maillart, Ponte Salginatobel, 1930 © trevor.patt (CC BY-NC-SA 2.0)

Il Ponte Salginatobel, costruito vicino a Schiers, è formato da un arco a tre cerniere con cassone cavo che attraversa con una leggerezza sorprendente una gola dalla campata di oltre 90 metri. Sul ponte è presente una carreggiata larga 3,5 metri poggiata centralmente su un arco dove si impostano gli elementi verticali a sostegno dei tratti laterali dell’infrastruttura.

Il ponte, presentato alla mostra del MoMA di New York intitolata ‘Robert Maillart: Engineer’, è stato dichiarato punto di riferimento storico internazionale dell’ingegneria civile dall’American Society of Civil Engineers, nonché patrimonio svizzero di importanza nazionale.

Ponte Schwandbach (1933)

Robert Maillart, Ponte Schwandbach, 1933 © Хрюша (CC BY-SA 3.0)

Vicino a Berna, in Svizzera, Robert Maillart ha progettato il Ponte Schwandbach con la medesima tecnologia costruttiva impiegata a Schiers, assottigliando tuttavia a soli 20 centimetri, in proporzione alla minore lunghezza dell’attraversamento, la sezione dell’arco. Come in altre sue opere, il livello stradale è stato espresso con un sottile piano che denuncia agli estremi la propria indipendenza formale, mentre raggiunge una compiuta sintesi nel punto centrale in cui si fonde con l’arco.

Andrea Zanin

 

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