DI MARCO BAY
 

Oltre la siepe

Luigi Ghirri, il fotografo che sapeva guardare il paesaggio italiano, ha scritto: “la soffice leggerezza delle nuvole pare contenere la segreta geometria di un disegno tracciato da una mano sapiente”. Questa nuvola sembra confermare il suo pensiero, segnando la sua impronta sul mare ligure e accompagnando il sentiero sospeso che porta a San Fruttuoso: luce mediterranea, nell’aria tutti i profumi della macchia, le lunghe spighe della lisca (l’Ampelodesmos mauritanicus) che ondeggiano e rispondono alle brezze marine, il sole che riscalda gli scogli di puddinga. Una magia.

Una riflessione: la “moda” e la mania del giardino mediterraneo diffuso in ogni territorio, sembra inevitabilmente non tramontare con irrimediabile perdita della biodiversità.

Quanti vivai hanno in prima fila gli esemplari millenari di ulivi strappati dalle loro terre d’origine? Non sono da meno quelli terribilmente coltivati con il tronco scolpito o allevati a bonsai. Ormai noti anche gli effetti negativi dovuti all’utilizzo di piante esotiche sull’ambiente naturale con il diffondersi di insetti “alieni” quali la piralide, il punteruolo rosso e il tarlo asiatico. Non ci vuole molto occhio per capire l’essenza e il carattere del paesaggio. Nell’arte del giardino, la pratica parte proprio dal saper vedere la natura e si fonda nel mescolare materiali e piante utilizzando elementi naturali esistenti, integrando il paesaggio al giardino. Straordinario è il richiamo di Salvatore Settis al De architectura di Vitruvio perché continua a parlare ai moderni di contenuti e linguaggi che possono promuovere nuove sensibilità per la tutela e la conservazione applicate anche al nostro patrimonio naturale. Preziosa in questo intento è la ricerca e il lavoro di Flora Conservation con interessante catalogo on line, azienda florovivaistica creata da due giovani intraprendenti (spin-off dell’Università di Pavia, Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente), per la tutela della biodiversità con l’utilizzo di piante provenienti dal territorio nazionale. È il primo tentativo di un’azienda agricola di salvare specie un tempo molto diffuse e conosciute, come il fiordaliso e la ninfea bianca, oggi quasi scomparse; ma anche di produrre in vaso perenni molto comuni come il mitico Daucus carota, praticamente introvabile nei vivai.