Marina Abramović può essere considerata la “nonna della performance art”, come si è autodefinita l’artista stessa, classe 1946, di origine serba e naturalizzata statunitense.

La performance art di Marina Abramović – elementi base

A differenza delle opere classiche, che presuppongono una fruizione ‘in differita’ dell’opera d’arte da parte dell’osservatore, come nel caso di un quadro, di una scultura o di un’installazione, la performance art coinvolge generalmente da uno a quattro elementi base: il tempo, lo spazio, il corpo del performer e la relazione tra il performer e il pubblico, nel ‘qui ed ora’.

L’uso del corpo nella performance art

Nell’arte performativa diventano quindi oggetto di indagine le  reazioni immediate che intervengono tra l’artista e il pubblico. Reazioni che spesso, nelle performance della Abramović, lasciano spazio al manifestarsi di emozioni primarie, come lo stupore, la paura e il disgusto, a cui seguono emozioni altrettanto impattanti, come l’inquietudine, il senso di disagio e di incredulità, davanti alla presenza di un corpo auto lesionato o sottoposto a condizioni fisiche estreme.

Invero, l’Abramović ha sempre considerato il suo corpo sia come soggetto che come medium, “un burattino nelle mani del pubblico”, per citare le parole dell’artista. Esplorando i limiti fisici e mentali del suo essere, l’Abramović ha resistito al dolore, all’esaurimento e al pericolo, nella perenne ricerca della trasformazione emotiva e spirituale.

Sotto questo punto di vista, le opere della Abramović si possono inserire in quel filone di ‘arte disturbante‘, che ha reso celebre la performer a partire dai primi anni settanta del 900. Grazie a loro l’artista è riuscita a imporsi sulla scena artistica contemporanea.

Abramovic The Cleaner VilleGiardini stileitaliano villegiardini.it
Scatto di Marina Abramovic – mostra The Cleaner – Foto@F. Pierantoni by Flickr CC BY 2.0

L’opera Rhythm 0

Tra le sue prime affascinanti azioni artistiche figura Rhythm 0, del 1974, facente parte una serie di performances intitolata Rhythms (1973-74). Svoltasi per la prima volta allo Studio Morra di Napoli, la performance, volta a indagare le tensioni tra abbandono e controllo, prevedeva la presenza di settantadue oggetti disposti su un lungo tavolo coperto da una tovaglia bianca. Insieme agli oggetti, sul piano erano appoggiate anche le istruzioni, nelle quali l’ Abramović riportò che si assumeva completamente la responsabilità del suo proporsi come oggetto.

Lo svolgimento della performance Rhythm 0

In quelle ore, le persone presenti potevano decidere come e se interagire con lei attraverso l’utilizzo di questi oggetti di uso quotidiano, tra i quali figurava anche una pistola con un proiettile. Durante tutta la durata della performance, l’artista stette passivamente immobile, accettando, senza opporsi, qualsiasi azione intrapresa nei suoi confronti, come essere oggetto di tagli, percosse o ferite.

Terminata la performance,  Marina Abramović si diresse verso il pubblico, che se ne andò frettolosamente, incapace di reggere un confronto con l’artista in qualità di persona.

In Rhythm 0, l’istinto del pubblico si trasformò in bestialità o, come suggerì la stessa Abramović, in ‘rivelazione‘. Attraverso la sua arte, l’Abramović ha quindi profuso la sua sensibilità nello studio antropologico del comportamento umano, indagando esperienze sensoriali e psicologiche profonde.

Oggetti Rhythm 0 VilleGiardini stileitaliano villegiardini.it
Foto oggetti in Rhythm 0 di Abramovic – Foto @F. Pierantoni by Flickr CC BY 2.0

L’incontro con Ulay

L’Abramović sperimentò individualmente le sue performances, fino a quando, nel 1976, non incontrò l’artista e fotografo tedesco Frank Uwe Laysiepen, conosciuto al pubblico come Ulay.  Da quell’anno spartiacque, nacque un fertile sodalizio amoroso e artistico, durato dodici anni. I due artisti realizzarono assieme alcune straordinarie azioni artistiche, intitolate, nel loro complesso, Relation Works. Attraverso le proprie performance, la coppia si propose di esplorare i limiti della propria resistenza fisica e psichica e, al contempo, di spiazzare e provocare il pubblico.

I Relation Works con il compagno e artista Ulay

Il rapporto di coppia è stato un tema frequente delle loro opere, teso talvolta allo scontro e alla reciproca sopraffazione, come testimoniato dalla performance AAA del 1978. In quest’azione performativa, ripresa in uno studio televisivo senza pubblico a Liegi, in Belgio, i due artisti si urlarono in faccia a vicenda, fino allo sfinimento.

Dopo dodici anni di vita in comune e di sodalizio artistico, Marina e Ulay decisero di lasciarsi e di chiudere il loro rapporto con una spettacolare performance di addio: The Wall Walk in China, del 1988. I due artisti percorsero a piedi tutta la Grande Muraglia cinese, per rincontrarsi solo nel 2010, in occasione della performance intitolata The Art is present, che l’Abramović presentò al Moma di New York.

La teatralizzazione della guerra in Balkan Baroque

Dopo la parentesi giovanile con Ulay, l’Abramović riprese la sua attività artistica in solitaria, maturando un rapporto privilegiato con l’Italia, in cui hanno avuto luogo molte delle sue performance più significative. Tra queste si colloca Balkan Baroque, con cui l’artista ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1997.

L’opera è estremamente attuale poiché incentrata sul tema della guerra. L’ Abramović mise infatti in scena il dramma dei Balcani che si era appena consumato in Bosnia ed Erzegovina (1992-1995).

Il sacrificio dell’artista, il crimine e la colpa

La performance non si è svolta in una galleria d’arte tradizionale bensì in uno scantinato buio dove l’artista sedeva su millecinquecento ossa di bovino. Vestita con una tunica bianca, adagiata in mezzo a femori di manzo (metafora dell’umanità da sterminare), raschiò via, con uno spazzolone, rimasugli di carne fresca attaccati alle ossa.

Durante la performance, durata sei ore al giorno per quattro giorni, l’Abramović cantò nenie serbe immersa nel fetore, in preda a una sorta di trance penitenziale. L’artista si offrì in sacrificio nell’unico modo concessole dall’arte, cioè teatralizzando il crimine e, allo stesso tempo, espiandone la colpa. In un’intervista ha affermato che “non si lava via il sangue dalle ossa, così come non ci si pulisce dalla vergogna della guerra”.

Ritratto Marina Abramovic VilleGiardini stileitaliano villegiardini.it
Ritratto di Marina Abramovic autore Iamakiwi – Foto @W. Emman by Flickr

Nei quarant’anni delle sue performance, Marina Abramović è stata l’artista che, meglio di ogni altro, ha saputo trasformare il proprio corpo in territorio di esperienze comuni, restituendo all’osservatore l’idea che, nello spazio della performance, l’artista si collochi in un sé superiore. In questo senso, l’artista diviene contemporaneamente il trasmittente e il ricevitore di un enorme flusso di energia, come un apparecchio di Nikola Tesla. Spetta al pubblico accoglierlo e dargli un senso.

Marina Abramovic TED Vancouver VilleGiardini stileitaliano villegiardini.it
Marina Abramovic al TED di Vancouver nel 2015 – Foto @TED Vancouver by Flickr CC BY NC 2.0

Laura Pagano

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