Milano-Torino è una distanza da coprire con un balzo, ma nei giorni della merla il gelo rallenta anche gli slanci più appassionati: decido di raggiungere al telefono Carlotta Berta, spirito creativo a capo di unprogetto – sì, tutto d’un fiato – di interior design, e la sua voce cristallina mi accoglie senza remore. E mi scalda in un attimo.
Mentre mi innamoro ancora della palette di colori sfoggiata nella galleria Instagram che me l’ha fatta conoscere, Carlotta si racconta a cuore aperto e, come nelle confessioni inattese, si apre in squarci di risate che raccontano la storia di una ragazza che sta costruendo, numeri alla mano, tutti i suoi sogni.
- Ti dichiari “non un ingegnere pentito”, ma la tua attività ruota intorno al design e alla progettazione d’interni: qual è la tua storia?
È vero, mi sono laureata in Ingegneria Edile a Torino, e non poteva essere altrimenti. Era la naturale declinazione di due grandi passioni: già ai tempi del liceo amavo l’architettura, ma più di tutto adoravo la matematica e scoprire cosa si cela dietro i numeri.
Dopo la laurea mi sono ritrovata a lavorare da casa per progetti europei di ricerca: avevo molto tempo libero che ho investito nella sperimentazione, arredando in particolare un locale di alcuni familiari. Ed è stato amore a prima vista: ecco cosa mi smuoveva completamente. Così, prima ho aperto un blog insieme a una collega architetto, e poi mi sono dedicata al mio spazio personale.
Volendo fare un primo bilancio, direi che sono arrivata a un punto fermo importante, ma non sono sicura sia quello definitivo: in questi anni ho imparato che adoro mettermi alla prova, imparare, e finire per gestire una cosa che all’inizio non ero capace a fare. Perciò il mio percorso è tutto in divenire e le sperimentazioni giocheranno un gioco centrale.
- La tua presenza online ha preso dunque le mosse prima dal blog e poi si è espansa attraverso il profilo instagram. Cosa vuol dire, per la tua professione, avere un pubblico digital?
Il blog è una piattaforma molto personale, sì condiviso con i lettori – che mi aiutano a muovermi attraverso delle scadenze da rispettare: un rigore che ho bisogno di seguire; ma è soprattutto uno strumento di ricerca utile per la mia attività professionale, perché mi tiene aggiornata sulle ultime tendenze.
Non nego che il profilo instagram giochi un ruolo importante per il networking, ma non lo curo maniacalmente: mi rispecchia, per cui segue la volontà del mio umore. Non mi faccio cannibalizzare dall’algoritmo, ma è bello avere a che fare con alcuni periodi di grande energia creativa, che mi portano a dei feedback indispensabili. A dirla tutta sto persino registrando un’inversione di tendenza: se prima i clienti arrivavano grazie al passaparola, adesso il blog è diventato il primo punto di contatto.
- E poi c’è il progetto laterale allyoucantexture.
Nasce come mio primo profilo instagram, ma al Salone del Mobile di tre anni fa ho capito che non mi rappresentava. Non ero capace di aderire con naturalezza a questo mezzo, quindi avevo deciso di trovare un taglio innovativo. La scelta di pubblicare immagini bidimensionali di texture era praticamente fisiologica, perché è quello che da sempre attrae la mia attenzione. Questa scelta mi ha aiutato anche con la fotografia, per me molto difficile: è un lavoro di precisione che sento mi separa dall’immagine che ho in testa. La texture è invece, per sua natura, molto semplice: occorre solo captarla e poi scattare, al limite giocare con una mini parte di post-produzione. Ma è già lì, è immediata. E persino la scelta del nome è stata di natura conviviale, essendo nata da una serata in compagnia con gli amici.
Sei mesi dopo è nato unacarlotta, uno spazio per condividere qualcosa di personale. E che poi si è espanso nel luogo della mia professionalità e della creatività, inglobata all’interno di logiche e strutture tutte mie – altrimenti non sarei un ingegnere!
- Costruire lentamente, dare un’identità, accompagnare la vita di altre persone: cosa vuol dire fare la progettista d’interni?
Significa entrare in relazione con i miei clienti e dall’empatia che si tesse da questo rapporto riuscire a disegnare gli ambienti più adatti a loro. Vedi, c’è una parte iniziale che il cliente a volte fatica ad accettare: è il tempo iniziale, spesso molto lungo, che mi prendo per farmi raccontare, capire i bisogni, trovare degli spunti. È la fase più importante del mio lavoro.
- Esercizio di stile, pura provocazione, derivazione di un’estetica nuda e cruda sempre più centrale nella società: cos’è il design, per te?
Il vero design è il risultato dell’equilibrio tra estetica e funzione: una sedia è di design se è esteticamente bella ma è anche comoda. È la stessa filosofia che applico alla progettazione d’interni, per questo motivo non si può dire che io abbia uno stile iconico: chiaramente c’è una mia voce nella progettazione, ma sono le esigenze dei miei clienti a rimanere centrali. Ogni casa racconta la storia dei suoi proprietari, non la mia.
- E quindi qual è il tuo concetto di bellezza?
Bellezza è armonia delle forme – anche se amo molto il contrasto, che è esattamente il contrario dell’armonia. Per cui, in seconda battuta, per me bellezza è anche soggettività, e ogni volta cambia in base ai miei clienti.
- Qual è il ricordo migliore legato alla tua attività?
[Non esita neanche un attimo] Non è un progetto specifico – pur essendoci delle soluzioni abitative che si avvicinano di più al mio gusto – bensì le relazioni con i miei clienti. La soddisfazione del risultato finale che si dipinge sul loro viso ha un valore inestimabile, insieme a far capire il valore della progettazione ai profani.
- Definire Carlotta attraverso i suoi best of: una fiera, un oggetto di design e un museo.
La fiera che amo di più è IMM Colonia: è a misura d’uomo pur essendo il luogo maggiormente deputato a intuire le reali tendenze dell’anno, ma allo stesso tempo è silenziosa, democratica e non elitaria come il Salone del Mobile.
L’oggetto di design per eccellenza è la Lampada Arco dei fratelli Castiglioni, per me la sintesi tra la perfezione della sua forma e la facilità della sua intuizione: mentre ciò che è perfetto spesso ci allontana, la lampada Arco ha la capacità di avvicinarci.
Sulla scelta del museo sono in difficoltà: amo tantissimo il Louisiana Museum vicino Copenaghen, non solo per la sua struttura meravigliosa che si affaccia sul mare e sulla Svezia ma anche per il percorso attraverso cui sono installate opere di arte contemporanea di grande impatto. Tra tutte, amo profondamente Gleaming Lights of the Souls di Yayoi Kusama, una stanza buia ricoperta di specchi e bacini d’acqua attraversata da una passerella. È interamente ricoperta di luci colorate: la magia è assicurata.
Ma il museo che visito tutte le volte che mi trovo a Madrid è il Reina Sofia, che ospita la Guernica di Picasso, una delle opere che mi emoziona di più al mondo.
Ecco, se il mio approccio al design è di tipo ingegneristico, perché guardo alla praticità, per me l’arte ha un solo compito: muovere e commuovere.
- E quindi cosa si cela nel futuro della tua attività?
Dal punto di vista strategico vorrei che la mia attività si ampliasse: Davide, il mio compagno, è ormai parte del team di unprogetto come controparte fotografica.
Attualmente sto finendo una piccola casa a Torino davvero deliziosa, ho appena finito un progetto a Milano e sto seguendo a Genova la ristrutturazione di una villa con pavimenti in mosaico alla genovese: il futuro lo riempirò di piccole nuove sfide per la mia attività. Se ho un segreto, è quello di abbracciare le novità senza lasciarmene intimorire.
E allora buon viaggio, Carlotta.