Galeotto fu un regalo di Folco Quilici: la passione per la fotografia di Ilaria Di Biagio si è presto tramutata da vibrante passione a missione della vita. Fiorentina dallo spirito poetico, ha inanellato negli anni un portfolio denso e intrecciato ai temi della memoria, del viaggio e delle radici: senza mai aver perso di vista l’emozione dei primi scatti.

Tra i progetti futuri e una riflessione sul senso della fotografia, quella di Ilaria Di Biagio è una brama da cui lasciarsi ispirare: trovare con le immagini un senso per interpretare quello che mi accade intorno.

1. L’interesse per l’indagine del territorio affonda le radici nel passato e ha guidato il tuo percorso formativo e professionale, in bilico tra Firenze, Roma e la Danimarca. Da dove nasce la passione per la fotografia?

Ricordo mia mamma con gli scarponcelli in bilico su un muretto altoatesino intenta a scattare foto di campanili, edicole, insegne in ferro battuto. Gli anni della mia infanzia hanno combaciato con il periodo in cui lei scriveva “I luoghi dell’arte”, una collana di 5 volumi sui luoghi dell’arte in Alto Adige. Si occupava spesso anche di fare le fotografie, sua grande passione, e noi ci avventuravamo insieme su e giù per le montagne. Non ci è voluto molto quindi perché ad 11 anni mi venisse regalata da un caro amico di famiglia, Folco Quilici, la mia prima macchina fotografica. Erano anni in cui viaggiavamo in luoghi fantastici. Tornata da un viaggio all’Isola di Pasqua, il mio professore di tecnica delle medie mi chiese i negativi e stampò alcune fotografie in camera oscura.

La magia era avvenuta: volevo fare quello. Fermare ciò che mi succede davanti agli occhi, trovare con le immagini un senso per interpretare quello che mi accade intorno. L’interesse per il territorio viene da questa curiosità: scavare attraverso l’immagine. Il tempo e gli incontri che si dedicano ad un progetto permettono di approfondire e vedere sotto tante luci aspetti che sembrano spesso troppo ovvi. Il territorio, come le persone, va vissuto, conosciuto a fondo.

2. L’ampio progetto Around The Walk, creato insieme a Pietro Vertamy, è un laboratorio errante sospeso tra una visione artistica del rapporto tra uomo e territorio e la mappatura (inedita) di percorsi a piedi, che ha già attraversato la Via Francigena toscana, la Lucania e l’Alto Adige. È un inno alla lentezza come stile di vita, che rende centrale il tema della tutela ambientale: quando è nato, e quali saranno le prossime tappe?

Proprio da questa necessità di vedere il territorio più da vicino, e da un intrinseco amore per la natura e le lunghe camminate, qualche anno fa è nato Around The Walk. Pietro ed io ci siamo conosciuti mentre lui andava da Roma a Perpignan a piedi: 1500 Km in 3 mesi, gli ultimi 300 fatti insieme. L’entusiasmo per questa esperienza ci ha portato a volerne fare altre. E’ nato così il progetto Lucania Walk in Progress, una mappatura di 200 Km da Matera passando per Metaponto e Craco, con ritorno a Matera. 8 giorni di cammino insieme a due musicisti (Ivan Radicioni e Maurizio Piccioli) che ogni sera suonavano testi inediti sulla Magna Grecia.

Around The Walk ha quindi piano piano preso vita mosso dall’intenzione di fondere la nostra comune passione per le diverse forme d’arte e la creazione di itinerari ex novo da percorrere esclusivamente a piedi. Ancor prima di creare ATW, abbiamo iniziato la collaborazione con Ammappalitalia, un portale condiviso che raccoglie le mappature a piedi di percorsi inediti e non del nostro territorio. E’ un’iniziativa che rispecchia appieno il nostro modus operandi, sia per la filosofia che c’è a monte sia perché, rendendo fruibili gratuitamente gli itinerari tracciati, chiunque può intraprendere in sicurezza nuove vie.

Nel futuro ci sono progetti che valicano i confini italiani, ma anche altri che andranno ad esplorare zone meno conosciute del nostro territorio.

Dal progetto "Lucania Walk in Progress" di Around The Walk - Settembre 2015 (Ph. by ©Ilaria Di Biagio)
Dal progetto “Lucania Walk in Progress”di Around The Walk – Settembre 2015 (Ph. by ©Ilaria Di Biagio)

3. Emerge nei tuoi scatti un senso più profondo del viaggio, quell’emozione della scoperta che permette di valicare i confini – concreti e allegorici. Cosa si cela dietro la scelta di isolare un’istantanea rispetto al divenire di immagini che fluisce durante il cammino?

Le immagini scorrono si, ma molto lente durante il cammino. Questo permette di osservare attentamente, guardare da diverse prospettive. Fermarsi per scattare una fotografia, è un gesto molto semplice mentre si va a piedi. Un giorno con Pietro stavamo mappando i dintorni di Merano e decidemmo di affittare una bici invece di fare la tappa a piedi. Quel giorno ho scattato pochissime fotografie, e pure molto banali. Guardare il mondo a 4 Km/h permette invece di entrare nei paesaggi, andare oltre quello che ci scorre davanti e cercare l’anfratto, la casa nascosta, l’angolo che solo tu pretendi di aver calpestato. Quando camminiamo non siamo degli stakanovisti, ci facciamo distrarre da tanti piccoli suggerimenti che la natura ci da e ci godiamo spesso gli scorci che si aprono. Talvolta ci perdiamo. È affascinante capire un paesaggio, interpretarlo e notare quanto sia variegato un tragitto di 20 Km che in macchina appare invece tutto uguale.

Parliamo spesso del fatto che quando ti guadagni i chilometri con le tue gambe, raramente esiste un paesaggio banale. Aree industriali, residui urbani, parchi incolti, tutto appare incredibilmente affascinate (in alcuni casi terrificante) se attraversato con questo spirito. Con le mie fotografie, spero di far emergere anche questi aspetti.

4. A proposito di viaggi interiori, prima ancora che terreni, Fragile è una narrazione in divenire della malattia di tua sorella Gioia, a cui le è stata diagnosticata la sindrome di Ehlers Danlos a soli 7 anni. La sua pelle è così delicata da faticare a rimarginarsi: per estensione, è la metafora della sorellanza, da una parte, e del difficile rapporto col proprio corpo, dall’altra. Cosa vuol dire, per te, raccontare la storia di Gioia?

Ho cominciato a lavorare su questo progetto nel 2011 quando ero in Danimarca a studiare fotografia. Per la tesi finale avrei dovuto produrre un progetto di reportage con una visione personale. Parlandone con Gioia, mi ha proposto di fare qualcosa su di lei, sulla sua malattia rara.

Soprattutto i primi mesi, in cui ho scattato intensamente, sono stati pieni ed emozionanti: stavamo affrontando insieme per la prima volta un grande tabù che fino ad allora avevamo faticato ad accettare.

Ho seguito Gioia in molte visite mediche, studiato libri di antropologia culturale sul dolore, ci siamo fatte lunghe chiacchierate di confronto e confidenze. La documentazione fotografica di una parte così personale della nostra vita, mi ha portato quindi ad indagare con una maggiore consapevolezza sia il rapporto che Gioia vive quotidianamente con la Sindrome di Ehlers Danlos, sia quello che ci lega.

È un raccontare molto intimo, che grazie al mezzo fotografico ha permesso a noi di capire e capirci meglio e, spero, a chi invece ne è spettatore, di confrontarsi con una narrazione personale ma un po’ anche universale. Gioia affronta la sua condizione con grande forza, questo è l’aspetto che più si è voluto indagare e far emergere. Proprio recentemente è uscito per Mondadori il suo libro Come oro nelle crepe, dove associa il suo “ripararsi” all’antica arte giapponese del kintsugi, in cui le ceramiche rotte venivano riparate con l’oro, rendendo così l’oggetto ancora più prezioso.

Dal progetto "Fragile" in collaborazione con Gioia Di Biagio: Policlinico di Milano, 2011 (Ph ©Ilaria Di Biagio)
Dal progetto “Fragile” in collaborazione con Gioia Di Biagio: Policlinico di Milano, 2011 (Ph ©Ilaria Di Biagio)

5. Attualmente stai lavorando a un progetto riguardante lo spostamento dei popoli: un tema delicato, in una fase cruciale delle politiche internazionali. Di cosa si tratta?

Si tratta di un progetto che parla appunto di spostamento di popoli, ricerche archeologiche e spedizioni geografiche. Tante delle mie più grandi passioni si stanno riunendo in questa ricerca, il cui titolo Omero nel Baltico – Cronache dai mari del Nord potrebbe far riecheggiare ricordi assopiti di studi superiori.
In effetti, nonostante tratti un tema di qualche migliaio di anni fa, sono coinvolti tanti argomenti oggi molto attuali: l’eterno peregrinare dell’umanità, i mutamenti climatici… I racconti epici di Omero narrano storie che hanno mantenuto un enorme potere fino ad oggi. Parlano del dubbio e della perseveranza; la forza, le emozioni, la vita dei personaggi sono le nostre stesse vite. Mi interessa indagare queste relazioni ed insistere su una visione critica della storia.

Dal progetto “Omero nel Baltico”; Susi tiene in mano un pesce volante. Suo marito era capitano di una nave cargo e viaggiava nei luoghi più remoti del mondo. Le portava sempre piccoli regali esotici. Ha raccolto questo pesce sul ponte della nave mentre viaggiava nei mari delle Filippine. Susi ha vissuto la sua vita aspettandolo come una moderna Penelope. Lyø, Danimarca. 2017. (Ph. by ©Ilaria Di Biagio)
Dal progetto “Omero nel Baltico”; Susi tiene in mano un pesce volante. Suo marito era capitano di una nave cargo e viaggiava nei luoghi più remoti del mondo. Le portava sempre piccoli regali esotici. Ha raccolto questo pesce sul ponte della nave mentre viaggiava nei mari delle Filippine. Susi ha vissuto la sua vita aspettandolo come una moderna Penelope. Lyø, Danimarca. 2017. (Ph. by ©Ilaria Di Biagio)

6. “Ogni giorno esco di casa per trovare delle storie e le storie mi cambiano sempre”, dice lo scrittore Andrew O’Hagan: qual è la storia che non hai ancora raccontato, ma che ti piacerebbe trovasse finalmente voce?

In realtà in questi due anni in cui mi sono concentrata sul progetto al Nord, non ho lasciato molto spazio a tante altre divagazioni. Anzi, mi dico: quando mai troverò una storia così appassionante come quella che sto facendo ora? Più che per il risultato in sé, l’Omero nel Baltico mi sta facendo vivere esperienze di vita rare e avventure irripetibili.

Dalle Isole Farœ alla Lapponia ho collezionato paesaggi mozzafiato, incontri profondi, scoperte bizzarre. Sono tornata a casa con le valige piene di sassi, foglie, mappe nautiche e tracce gpx; bigliettini di persone che appassionatesi alla mia ricerca, mi chiedevano di rimanere aggiornati.

Sicuramente, ciò che ho confermato da questo approccio è che sono molto interessata a tutto quello che precede lo scatto in sé: ricerche, letture, confronti, esperienze vissute, incontri. Indagare un’interdisciplinarità che permetta di narrare in modo più ampio, piani diversi che si intersecano e appoggiano uno sull’altro.