Architettura parassita: cos’è?
Una lettura consapevole da consumare nel nuovo anno è senz’altro Architettura parassita. Strategie di riciclaggio per la città di Sara Marini per Quodlibet.
Chi sia il parassita lo racconta il filosofo francese Michel Serres:
“un operatore differenziale del cambiamento. Egli eccita lo stato di un sistema: il suo stato di equilibrio (omeostatico), lo stato presente dei suoi scambi e delle sue circolazioni, l’equilibrio della sua evoluzione, il suo stato termico, il suo stato informazionale. Lo scarto prodotto è assai debole, e non lascia prevedere, in generale, una trasformazione, né quale trasformazione. L’eccitazione fluttua e così la determinazione”.
Il dibattito acceso
La Marini, che è un professore associato in Composizione architettonica e urbana all’Università Iuav di Venezia, ha condotto un’inchiesta sulle nuove norme che limitano le edificazioni e che hanno costretto a ripensare lo spazio dato. Il dibattito architettonico innescatosi ha generato infatti una rinnovata pratica progettuale: l’inserimento di corpi architettonici nuovi in edifici.
In dialogo con gli autori del parassitismo, Sara Marini ripercorre gli esempi storici: come l’ampliamento del Museo del Prado a Madrid o quello del Tate Britain a opera di James Stirling a Londra.
La dicotomia del parassitismo
Come viene accolta questa intrusione? Sara Marini lo svela nella sua natura biunivoca: da una parte, infatti, viene intesa come pertinente soluzione alla domanda di densificazione, prospettandosi come modello di crescita urbana. Dall’altra parte, c’è chi la vive come una modifica troppo repentina delle regole che governano l’urbanistica da secoli.
La riflessione si allarga dunque sull’assetto cittadino e sulle soluzioni che la società può adottare per preservare il proprio spazio vitale attraverso il ripensamento dell’edilizia.