‘I Pittori di Pompei’ è una mostra aperta dallo scorso 23 settembre 2022 al Museo Archeologico di Bologna, curata da Mario Grimaldi e prodotta da MondoMostre. Settimana dopo settimana, l’interesse è cresciuto esponenzialmente, i visitatori sono stati in continuo aumento, effetto evidente del passa parola positivo che la mostra ha saputo catalizzare. Il Comune di Bologna, Museo Civico Archeologico, con MondoMostre, società organizzatrice dell’evento, ha quindi deciso di chiedere al Museo Archeologico Nazionale di Napoli – prestatore dei preziosi reperti esposti nella mostra –  un’ulteriore proroga del generoso prestito, che è stato accordato. La mostra resterà al Museo Archeologico di Bologna sino al primo maggio.

Afrodite e Marte
Pompei, VII, 2, 23, Casa dell’amore punito, tablinum f, parete sud, sezione centrale, dipinto
Affresco, 154 x 116 cm
MANN, inv. 9249
I secolo d.C. – III stile

Il successo della mostra ‘I Pittori di Pompei’

Oltre 60 mila persone hanno ammirato ‘I Pittori di Pompei‘. Per molti la visita è stata anche l’occasione per coprire, o tornare ad ammirare lo straordinario Museo Civico Archeologico di Bologna. Molte scolaresche continuano a prenotare la visita o i laboratori.

Filosofo con Macedonia e Persia
Boscoreale, Villa di Fannio Sinistore, oecus (H), parete ovest
Affresco, 240 x 345 cm
MANN, Inv. s.n. inv. 906
1 secolo a.C. – II stile

Curata da Mario Grimaldi e prodotta da MondoMostre, l’esposizione è stata resa possibile da un accordo di collaborazione culturale e scientifica tra Comune di Bologna | Museo Civico Archeologico e Museo Archeologico Nazionale di Napoli che prevede il prestito eccezionale di oltre 100 opere di epoca  romana della collezione  del  museo  partenopeo, in  cui è  conservata  la più grande pinacoteca dell’antichità  al mondo.

Il progetto espositivo

Il progetto espositivo della mostra ‘I Pittori di Pompei’ pone al centro le figure dei pictores, artisti e artigiani che realizzarono gli apparati decorativi nelle case di Pompei, Ercolano e dell’area vesuviana, ne contestualizza il ruolo e la condizione economica nella società del tempo. Mette inoltre in luce le tecniche, gli strumenti, i colori e i modelli. L’importante patrimonio di immagini che questi autori ci hanno lasciato – splendidi affreschi dai colori ancora vivaci, spesso di grandi dimensioni – restituisce il riflesso dei gusti e i valori di una committenza variegata e consente di comprendere meglio i meccanismi sottesi al sistema di produzione delle botteghe.

A  Bologna,  per  la  prima  volta,  a essere  esposto  è un  corpus di straordinari esempi di  pittura  romana provenienti da quelle domus celebri proprio per la bellezza delle loro decorazioni, dalle quali spesso assumono anche il nome con cui sono conosciute. Capolavori – solo per citarne alcuni – dalle domus del Poeta Tragico, dell’Amore punito, e dalle Ville di Fannio Sinistore a Boscoreale, e dei Papiri a Ercolano.

Figura femminile
Pompei, VI, 9, 2-13, Casa di Meleagro, tablino (8), parete est, registro superiore
Stucco – affresco, 178 x 188 cm
MANN, inv. 9595
I secolo d.C. – IV stile

Sono pochissime le informazioni giunte a noi sugli autori di queste straordinarie opere e quasi nessun nome ci è noto. Grazie alle numerose testimonianze pittoriche conservate dopo l’eruzione avvenuta nel 79 d.C. e portate alla luce dalle grandi campagne di scavi borbonici nel Settecento, le cittadine vesuviane costituiscono un osservatorio privilegiato per comprendere meglio l’organizzazione interna e l’operato delle officine pittoriche.

Nella mostra ‘I Pittori di Pompei‘ il visitatore può ammirare un’ampia selezione degli schemi compositivi più in voga nei diversi periodi dell’arte romana, osservando come alcuni artisti sapessero conferire una visione originale di modelli decorativi continuamente variati e aggiornati sulla base di mode e stili locali. Rivivere scene di accoglienza dell’ospite, raffinate immagini di paesaggi e giardini, architetture, ma anche ammirare gli strumenti tecnici di progettazione ed esecuzione del lavoro: colori, squadre, compassi, fili a piombo, disegni preparatori, reperti originali ritrovati nel corso degli scavi pompeiani, comprese coppe ancora ripiene di colori risalenti a duemila anni fa. E, ancora, triclini, lucerne, brocche, vasi, riaffiorati negli scavi e raffigurati proprio negli affreschi in mostra, con i quali dialogavano nello spazio.

La mostra propone anche la ricostruzione di interi ambienti pompeiani come quelli della Casa di Giasone e, ancora di più della straordinaria domus di Meleagro con i suoi grandi affreschi con rilievi a stucco, per raccontare il rapporto tra spazio e decorazione, frutto della condivisione di scelte, e di messaggi da trasmettere, tra i pictores e i loro committenti.

Dioniso ebbro
Pompeii, VI, 9, 2-13, Casa di Meleagro, tablino (8), parete nord, registro superiore
Stucco – affresco, 166 x 267 cm
MANN, Inv. 9596
I secolo d.C. – IV stile

Se nel mondo della Grecia classica i pittori erano considerati “proprietà dell’universo“,  come ricorda Plinio il Vecchio a sottolinearne l’importanza ed il ruolo,  al tempo dei romani, i pictores erano visti solo come abili artigiani, e soltanto alcuni di loro conquistarono, per la qualità e la raffinatezza delle loro creazioni, il ruolo di artisti.

E la loro arte, da mestiere riservato alle classi sociali marginali – schiavi, liberti – diventa arte che qualifica chi la praticaDa sottolineare che, in occasione dell’esposizione, viene proposta una ricca offerta didattica rivolta non solo alle scuole di ogni ordine e grado ma anche alle famiglie e al pubblico adulto.

Accompagna la mostra il catalogo pubblicato da MondoMostre contenente saggi tematici di Maria Lucia Giacco; Paola Giovetti, Federica Guidi, Marinella Marchesi; Mario Grimaldi; Hilary Becker; Giuseppe Sassatelli; Hariclia Brecoulaki; John R. Clarke; Irene Bragantini; Eric M. Moormann; Agnes Allroggen-Bedel; Umberto Pappalardo; Rosaria Ciardiello; Paola D’Alconzo.

Pictores: ruolo sociale, organizzazione e tecniche di artisti anonimi

Testo di Mario Grimaldi

Ma agli occhi dei Greci non era tra i marmi, i bronzi e gli ori la suprema bellezza: dei grandi eventi dell’arte fu la pittura l’inganno splendido, l’artificio per la perfetta realizzazione dell’immaginario, dove il tangibile e l’irreale si confondevano, e la memoria e i sensi erano condotti a esaltanti visioni”. Con queste parole Paolo Moreno introduceva una delle sue principali opere sullo studio e la conoscenza della pittura che definiva “inganno splendido” cogliendo così il reale senso che tale manifestazione d’arte ebbe soprattutto per le società antiche.
Il concetto se da un lato accomunava il senso intrinseco di questo linguaggio, dall’altro dava vita a differenti concezioni del valore dell’artista a seconda delle società di riferimento. Per confrontare il diverso utilizzo e concetto di arte tra il suo passato (inteso come origine e storia della pittura in Grecia) e il suo presente (inteso come l’utilizzo che se ne fece in età romana, periodo al quale ci si riferisce per gli oggetti esposti) possiamo riprendere le parole di un contemporaneo quale Plinio il Vecchio: “In verità però non c’è gloria se non per coloro che dipinsero quadri; e a questo proposito tanto più ammirevole appare la saggezza degli antichi. Essi infatti non abbellivano le pareti soltanto per i signori e i padroni, né decoravano case che sarebbero rimaste sempre in quel luogo e sottoposte quindi alla distruzione per gli incendi … Non ancora era di moda dipinger tutta la superficie delle pareti; l’attività artistica di quei pittori era rivolta verso gli edifici cittadini e il pittore era considerato proprietà dell’universo” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 118). Per Plinio la differenza non risiede tanto nel concetto che è alla base dell’arte di dipingere, la ricerca di quell’inganno splendido che crea un rapporto tra l’opera e l’osservatore, ma nel diverso concetto di artista, tra quello che dipinge quadri e decora lo spazio pubblico (uomo o donna che fosse) considerato e da considerare proprietà dell’Universo, e quello ad egli contemporaneo, che semplicemente abbelliva le pareti delle case creando un’arte senza maestri conosciuti.

Nella società romana dunque, che comunque riconosceva nelle sue origini l’arte del dipingere “Anche presso i Romani la pittura ebbe onore assai presto, dal momento che una celebre gens dei Fabi derivò da quest’arte il cognome di Pittori; e il primo che portò questo cognome dipinse di propria mano il Tempio della Salute …” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 19), tale originario rapporto tra pittura e alta società patrizia andò poi deteriorandosi, riportando la manifestazione d’arte della pittura ai margini più bassi della comunità, relegandola come opera propria di liberti, schiavi, donne e persone inabili alla vita politica e militare, legata più al mondo del teatro.

Il caso delle città seppellite dall’eruzione vesuviana del 79 d.C. – Ercolano, Pompei e Stabia – appare uno dei più completi per l’eccezionale contestualizzazione degli apparati decorativi che, conservati perfettamente in situ, permettono così di ricomporre quei rapporti spazio-funzionali del contesto decorativo dandoci la possibilità di tener fede metodologicamente al concetto di rapporto tra spazio e decorazione e soprattutto di contesto. Infatti sempre più si è integrato all’analisi tipologica degli “stili” l’interesse verso i rapporti esistenti tra la decorazione degli ambienti e la loro funzione. In questo contesto la figura del pictor appare essere fondamentale per tradurre in immagini il rapporto esistente e necessario per il committente tra spazio, la sua casa, e decorazione.

L’esperienza che si propone con questa mostra è dunque quella di rileggere, all’interno di questa prospettiva metodologica, alcuni grandi esempi decorativi facenti parte della Collezione degli Affreschi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli provenienti da quelle città che, seppellite dalla grande eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., ci offrono ancora oggi la possibilità di indagare e far parte di quell’inganno splendido attraverso la personalità dei pictores che operarono in modo anonimo in quelle case.

La mostra ‘I Pittori di Pompei’: il percorso

Il percorso museale si articola in otto sezione, come racconta Mario Grimaldi, curatore della mostra ‘I Pittori di Pompei’.

I pittori

“E per prima cosa parleremo di ciò che resta ancora da dire sulla pittura, arte un tempo famosa, quando era ricercata da re e da popoli, e che rendeva famosi gli altri, quelli che essa si degnava tramandare ai posteri; e che ora invece è stata completamente scacciata e sostituita dal marmo, anzi addirittura dall’oro; e non solo in guisa che tutte le pareti ne vengano coperte ma anche usando marmo segmentato e traforato, e riquadri a mosaico di vario colore in figura di cose e di animali.” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXXV, 2)
Con queste parole Plinio il Vecchio introduceva il suo libro circa la storia della pittura, così come l’aveva conosciuta e intesa attraverso le fonti e la sua memoria. La condizione dell’artista-pittore era notevolmente diversa per i Greci e i Romani: i primi infatti ne riconoscevano l’importanza sociale e il valore catartico d’insegnamento per le masse, tanto da istituire gare tra pittori per incoronare il migliore; i secondi pur vantando tradizioni pittoriche antiche, le avevano rifiutate in quanto riferite a un modus vivendi non più corrispondente allo stile di vita austero proprio del civis romano, legato quasi esclusivamente all’esercizio della politica e della conquista. I pittori romani sono rimasti dunque pressoché anonimi e le loro realizzazioni non furono recepite come opere d’arte, ma come parte della decorazione della casa. All’interno di contesti chiusi era tuttavia possibile identificare la ‘mano’ di un pittore, senza tuttavia assimilare il suo livello e valore sociale a quello dei maestri e delle loro botteghe che, dall’eta medievale in poi, cominceranno ad avere sempre maggiore importanza e ruolo civile e sociale. La mostra vuole proporre un’esperienza immersiva vista da un punto d’osservazione diverso, quello del pictor, per poterne comprendere il ruolo sociale, la forza economica, le tecniche, gli strumenti, i colori, i modelli, nonché la “fortuna” che le sue opere hanno avuto  all’indomani della loro scoperta.

Giasone e Pelia
Pompei, IX, 5, 18-21, Casa di Giasone, parete ovest, sezione centrale, dipinto
Affresco, 142 x 140 cm
MANN, inv. 111436
I secolo d.C. – III stile

Tecnica, strumenti e colori

Il lavoro del pittore partiva necessariamente da una fase di preparazione delle superfici murarie da decorare, attraverso l’utilizzo di diversi strumenti (squadre, livelle, compassi, fili a piombo). Il processo esecutivo del dipinto era, infatti, lo stesso per qualsiasi supporto: si utilizzavano griglia e schizzi sia per i grandi mosaici policromi che per le pareti dipinte o rivestite da marmi. Gli strumenti dei pittori erano alla base di ogni realizzazione di buon livello e le loro differenze erano una conseguenza del lavoro specifico degli artigiani, che spesso si trasferivano di casa in casa o di stanza in stanza, recando con sé tutto ciò di cui avevano bisogno. Questo spiega anche le dimensioni di alcuni pesi in piombo o compassi.

Perpendiculum – Filo a piombo
Pompei
Bronzo, 5 x 7 cm
MANN, inv. 76658
I secolo d.C.

I colori erano generalmente ricavati da minerali o vegetali: giallo e rosso – che fungevano da base anche per il marrone e alcuni verdi – erano ottenuti decantando e calcinando terre contenenti ossido di ferro, mentre il rosa era ottenuto da elementi vegetali. L’analisi economica del loro costo offre notevoli e interessanti scenari sul ruolo socio-economico dei pittori. Attraverso un’analisi del rapporto tra spazio e decorazione in relazione al costo dei colori, è possibile rileggere il ruolo che questi artisti-artigiani hanno svolto nella società romana del I secolo d.C. Tali elementi sono senz’altro un nuovo punto di vista da prendere necessariamente in considerazione per la ricostruzione scientifica di un modello socio-economico legato alla diffusa pratica della decorazione degli ambienti pubblici e privati in età romana.

Coppetta con pigmenti azzurri
Pompei
Pigmenti, diam. 16 cm
MANN, inv. 117338
I secolo d.C.

Modelli e soggetti

La rappresentazione di scene tratte dal mito all’interno dei quadri centrali delle decorazioni parietali traeva origine e ispirazione dal vasto repertorio mitologico e teatrale greco, che aveva generato nel tempo anche modelli iconografici ben consolidati, grazie anche alla presenza di capolavori originali a Roma. Esistevano poi schemi decorativi precostituiti cui il pictor poteva attingere. Fondamentale per la scelta dei soggetti era il rapporto con lo spazio da decorare, sia in relazione alle dimensioni degli ambienti, alla presenza o assenza di luce e di aperture su altri vani o giardini, sia in relazione alla funzione dello spazio stesso. All’interno di questo contesto si possono, tuttavia, desumere i tratti della personalità artistica del pictor: pur nell’ambito di un medesimo contesto ambientale e cronologico, si individuano varianti nella realizzazione di uno stesso soggetto, che denotano precise scelte personali.

Donna che dipinge un erma di Priapo
Pompei, VI, 1, 10, Casa del Chirurgo, sala 19, sezione centrale, dipinto
Affresco, 45 x 45 cm
MANN, inv. 9018
I secolo d.C. – IV stile

Anche l’inserimento e la resa degli oggetti della vita quotidiana (tavolini, vasi potori, candelabri, situle, arredi) in scene dove gli attori sono divinità e non uomini, è un ambito in cui si esprime l’opera decorativa del singolo pictor. Le pareti dipinte con le loro decorazioni offrono così la possibilità di identificare la firma  del pittore e di entrare in contatto con le diverse personalità artistiche che le hanno create.

Situla con barbari combattenti
Ercolano
bronzo, h 33 cm , diam. orlo 40 cm
MANN, Inv. 73146
II – I secolo a.C.


Questo è evidente, ad esempio, nelle differenti rese degli stessi miti o soggetti esposte in questa sezione della mostra (es. miti di Achille a Sciro – nn. 23-24, di Admeto e Alcesti nn. 25-27 e di Selene ed Endimione – nn. 43-46).

I Pittori di Pompei

9) Admeto e Alcesti
Pompei, VI, 8, 3-5, Casa del Poeta Tragico, tablinum 8, parete est, sezione centrale, dipinto
Affresco, 106 x 86,5 cm
MANN, inv. 9026
I secolo d.C. – IV stile

Il Mito

In età augustea fu introdotto l’uso del quadro centrale con soggetto mitologico, anche se calato in un paesaggio idillico sacrale. I temi e i racconti tratti dal mito greco e romano diventarono il centro focale della decorazione parietale. Storie di amori felici o infelici, vittorie e sconfitte di divinità ed eroi furono narrati all’interno di spazi quotidiani. La riproduzione seriale di molte di queste opere si intuisce dall’analisi tecnica, come evidenziano in mostra gli affreschi con identici soggetti reinterpretati da pittori differenti. È il caso delle Tre Grazie (nn. 41, 42), di cui certamente esisteva un modello originale realizzato da un’artista di età ellenistica, non sappiamo se scultore o pittore.

I Pittori di Pompei
Le Tre Grazie
Pompei, VI, 17, 31 o 36 Insula Occidentalis, Masseria di Cuomo – Irace
Affresco, 57 x 53 cm
MANN, inv. 9231
I secolo d.C. – IV stile

Accanto ai modelli di ambito ellenistico, esistevano anche nuove iconografie, peculiari del linguaggio, della storia e della società romana, come quella della vicenda di Pero e Micone, la figlia che allatta il padre incarcerato e condannato alla morte per fame. Il racconto per immagini di questa storia, un esempio di comportamento dal forte e naturale impatto evocativo, diventa la codificazione del sentimento di pietas tanto da essere recuperato e valorizzato non solo a Roma, con la costruzione del Tempio della Pietas, ma anche in città come Pompei, dove si ritrovano diversi esempi (nn. 39 e 40), dei quali uno ancora in situ (Casa di Marco Lucrezio Frontone a Pompei, V, 4, a, oecus 6, parete sud). Quest’ultimo è completato dal motto inneggiante la pietas e dai nomi dei personaggi rappresentati: “Quegli alimenti che la madre offriva ai piccoli nati il destino ingiusto mutò in cibo per il padre. Il gesto è degno di eternità. Guarda: sullo scarno collo le vene senili già pulsano del latte che scorre mentre la stessa Pero accostato il volto accarezza Micone. C’è un triste pudore misto a pietà”.

I Pittori di Pompei
Pan e le Ninfe
Pompeii, IX, 5, 18-21, Casa di Giasone, cubicolo (g), parete sud, tratto centrale, quadro
Affresco, 120 x 93 cm
MANN, Inv. 111473
I secolo d.C. – III stile

Teatro e musica

Le pitture restituite dalle città vesuviane offrono una grande varietà di raffigurazioni di maschere e di momenti di spettacoli teatrali, mostrando così la grande fortuna dei temi legati al teatro nell’ambito della decorazione domestica. Le maschere ricorrono frequentemente come elementi decorativi isolati o all’interno di architetture e scenografie. Gli affreschi a soggetto teatrale rappresentano non solo la messa in scena di commedie e tragedie, ma anche momenti legati alla vita degli attori dietro le quinte o durante le prove. Grazie a questi documenti e a quanto riportato dalle fonti antiche è possibile delineare un quadro abbastanza verosimile della condizione dell’attore, dell’organizzazione degli spettacoli e dei gusti del pubblico. Le maschere teatrali, oltre a un valore rituale e apotropaico, avevano anche la funzione pratica di amplificare la voce degli attori e di consentire a uno stesso attore di interpretare più ruoli (nn. 63, 64, 65).

Maschera su foglie e grappoli di vite
Pompei, Casa delle Colombe a Mosaico, triclinio 13, parete est, sezione centrale,
Affresco, 55 x 55 cm
MANN, inv. 9798
20-10 a.C. – III stile

Architettura e paesaggio

Uno degli aspetti che più caratterizzano e rendono innovativo il sistema romano di decorazione delle abitazioni è la raffigurazione di una vasta gamma di strutture architettoniche. Tali strutture passano dal verismo realistico del II stile, attraverso l’eleganza stilistica del III, sino alla prorompente fastosità materica del IV. Attraverso l’utilizzo di finte facciate architettoniche o di semplici pannelli, i pittori animavano le loro decorazioni, con lo scopo di avvicinarsi il più possibile alla realtà e di raffigurare scene di vita raggiungendo il massimo realismo. Il rapporto fra mimesi teatrale e realtà domestica che si creò è evidente nell’affresco con uno scorcio architettonico posto su un podio, forse un palcoscenico, al quale si accede tramite una scala, sulla quale incede la figura di un uomo barbuto, con una veste gialla che lascia in parte il petto scoperto. La corona sul capo e il rotulo di papiro nella mano sinistra fanno ipotizzare che si tratti di un poeta vittorioso (n. 70). Nello stretto rapporto tra architettura, giardini e decorazioni delle domus rientrano molti degli esempi visibili in questa sala, appartenenti al genere dei paesaggi idillico sacrali, che servivano spesso come finestra su paesaggi extra moenia (fuori dalle mura) di ambito bucolico (nn. 71-74).

I Pittori di Pompei
Paesaggio idilliaco sacrale
Ercolano, Villa dei Papiri, atrio, ala (d)
Affresco, 56 x 84 cm
MANN, inv. 9423
I secolo a.C. – II stile

Xenia

Tra i soggetti ricorrenti nelle decorazioni delle abitazioni vi erano anche le nature morte, note come xenia (doni ospitali). Queste variavano dalla frutta, locale ed esotica, agli animali, da cortile e selvaggina, in ambiente terrestre, aereo e marino fino alla rappresentazione di diversi utensili per la scrittura, come gli stili, le tavolette cerate o i rotoli di papiro. Una splendida sintesi di quanto detto risiede nella eccezionale parete in IV stile con nature morte dai Praedia di Iulia Felix. Qui i soggetti a cui viene data maggiore importanza occupano i pannelli del registro superiore, mentre viene lasciato alla zona mediana un ruolo di sfondo per non distogliere l’attenzione dal vero soggetto della decorazione (n. 82).

Parete in IV stile con Nature Morte (xenia)
Pompei, Praedia di Iulia Felix, Reg. II, 4, 3, tablino (92), parete sud
Affresco, 298 x 447 cm
MANN, Inv. 8598
I secolo d.C.

Contesti

In questa sezione della mostra si focalizza l’attenzione sulla coerenza delle scelte iconografiche all’interno di un singolo contesto e sul rapporto tra queste e lo spazio da decorare. Né l’analisi dei ‘motivi firma’ né i dettagli rappresentati restituiscono il nome e l’identità del singolo pittore, ma ne rendono evidente l’operato. Ad esempio, nei frammenti dei pannelli di predella ritrovati in una casa vicino all’area del Teatro di Ercolano (nn. 106-109), colpisce la coerenza delle scelte tematiche, che privilegiano la tragedia e il tema dionisiaco. In contesti di cui sono noti l’intero apparato decorativo e la sua disposizione negli ambienti della casa (come nella Casa dell’Amore punito – nn. 104-105, nella Casa di Giasone – nn. 110-117, nella Casa di Gavio Rufo – nn. 118-120 o nella Casa di Meleagro – nn. 121-123) è ancora più evidente il modus operandi del pictor, capace di far interagire le esigenze dello spazio da decorare con quelle del suo committente.

I Pittori di Pompei
Didone
Pompei, VI, 9, 2 Casa di Meleagro, atrio 2, parete nord, sezione centrale, dipinto
MANN, inv. 8898
Affresco, 108 x 128 cm
I secolo d.C. – IV stile

Il Museo Civico Archeologico di Bologna

Il Museo Civico Archeologico è l’istituto di più antica fondazione fra i musei civici di Bologna. Inaugurato nel 1881 nella sede dell’Ospedale della Morte del XIV secolo, costituisce una delle istituzioni cittadine più prestigiose e riveste un eccezionale interesse per la bellezza e la complessità del suo patrimonio. Formato dal congiungimento delle collezioni universitarie Aldrovandi, Cospi e Marsili, dalla ricca raccolta del pittore Pelagio Palagi e dai materiali archeologici provenienti dagli scavi di Bologna e del suo territorio, il museo si colloca tra le più importanti raccolte italiane.

Museo Civico Archeologico di Bologna. foto by Sailko (CC BY-SA 3.0)

Oltre alla collezione egiziana, una delle più importanti d’Europa, tra le collezioni storiche, accanto a quella etrusco-italica e alla romana da cui provengono i reperti che arricchiscono il percorso dell’esposizione I Pittori di Pompei -, si segnala la collezione greca, che conserva la testa in marmo dell’Atena Lemnia, copia di età augustea della statua bronzea di Fidia che troneggiava all’ingresso dell’Acropoli di Atene nel V secolo a.C.

Nell’ambito della ricca documentazione archeologica bolognese, che illustra la storia più antica della città e del territorio circostante dal paleolitico fino all’età romana, i materiali della civiltà etrusca costituiscono il nucleo più importante del museo perché, attraverso migliaia di corredi funerari, documentano lo sviluppo di Felsina (il nome etrusco di Bologna) dal IX sec. a.C. fino agli inizi del IV sec. a.C. Ampiamente documentata è anche la vita della città romana di Bononia, colonia latina dedotta nel 189 a.C. sul sito dell’etrusca Felsina. I miliari, i resti di decorazioni architettoniche e soprattutto le numerose lapidi, disposte nell’atrio e nel cortile, offrono uno spaccato vivace della storia cittadina in epoca repubblicana e imperiale. Alla decorazione del teatro, riportato alla luce nell’attuale centro cittadino, deve essere attribuita la bella statua acefala di Nerone. Completano le raccolte del museo una delle collezioni numismatiche più importanti del nostro paese, con oltre 100.000 esemplari tra monete, medaglie, punzoni e conii, e la Gipsoteca.

La sala mostre, situata al piano terreno, è uno spazio di quasi 1000 mq funzionale ed adeguato per accogliere mostre di grande rilevanza: nel corso degli ultimi 40 anni sono state qui proposte al pubblico centinaia di esposizioni temporanee, sia prodotte dal museo sia organizzate in collaborazione con altri partner. Il museo è inoltre noto per la qualità dell’offerta didattica e della formazione permanente, che lo rendono un punto di riferimento primario per l’analisi delle pratiche educative museali. Di fondamentale importanza per la valorizzazione del patrimonio permanente sono infine le relazioni con altri istituzioni nazionali e internazionali connesse alle attività di ricerca storica e scientifica, come testimoniano i numerosi progetti e il considerevole numero di prestiti, in cui ogni anno il museo è impegnato.

Museo Archeologico di Napoli

L’istituzione del Museo Archeologico di Napoli è legata sia alle vicende culturali della città nel XVIII secolo che portarono alla nascita dell’archeologia come scienza, e agli interessi politici e dinastici del re Carlo di Borbone, salito al trono di Napoli nel 1734. Si deve infatti a Carlo l’intuizione di realizzare, all’interno della reggia di Portici, l’Herculanense Museum per custodire i primi reperti rinvenuti negli scavi delle città vesuviane distrutte dall’eruzione del 79 d.C. (avviati nel 1738 a Ercolano e nel 1748-49, a Pompei e Stabiae), e l’idea di allestire un Museo “Farnesiano” nel palazzo di Capodimonte (divenuto in seguito Reggia di Capodimonte), per accogliere l’eredità dell’immenso patrimonio, proveniente da Parma e Roma, che gli giungeva dalla madre Elisabetta, ultima discendente dei Farnese.

Napoli, museo archeologico nazionale. Collezione Farnese. foto by Flickr user ho visto nina volare (CC BY-SA 2.0)

La crescente quantità di opere provenienti dall’area vesuviana e il timore che possibili, nuove eruzioni del Vesuvio potessero colpire la sede di Portici, indussero il successore Ferdinando a dotare la capitale del regno di un grande Museo, nel quale concentrare le numerose opere d’arte e i materiali archeologici, anche con la funzione di realizzare nel meridione dell’Europa un centro primario di studio dell’arte e del mondo antico. Come sede fu scelto il Palazzo dei Regi Studî, una costruzione del XVI secolo che dal 1615 aveva ospitato l’Università e che, con opportune modifiche e ampliamenti, divenne Museo, Biblioteca e centro di attività culturali. Tra le innovazioni architettoniche la più rilevante fu quella di innalzare un primo piano sulle ali dell’edificio e di trasformare l’antica aula magna nel doppio scalone progettato dall’architetto Schiantarelli. Formalmente istituito nel 1816, il Real Museo Borbonico accolse le collezioni Farnesiane (sculture antiche, quadreria, biblioteca, iscrizioni, gemme, monete), altre collezioni provenienti dai vari palazzi nobiliari (Carafa, di Noja, Avellino, Mastrilli etc.), e, tra il 1805 e il 1822, tutte le opere già custodite a Portici. Nel corso dei decenni successivi, il nuovo Museo di Napoli si arricchì di numerose immissioni provenienti da collezioni private – tra cui degne di nota sono la Borgia, importante per il nucleo di reperti egiziani ed etruschi, la Santangelo e la Spinelli – e dagli scavi effettuati per lo più in Campania e in Italia meridionale. Fu completata l’ala orientale e creato un secondo piano sotto la direzione degli architetti Maresca, Bonucci e Bianchi. Nel 1860 il Museo, con l’Unità d’Italia, prese il nome di Museo Nazionale.

Tra il 1863 e il 1875, sotto la direzione di Giuseppe Fiorelli, le collezioni e l’istituto subirono un primo fondamentale riordinamento seguito da ulteriori sistemazioni, tra le quali significativa, tra il 1901 e il 1904, quella dello storico Ettore Pais che riordinò i materiali in sequenza cronologica secondo le istanze positivistiche del tempo. Il Museo di Napoli possiede capolavori unici al mondo quali: dal nucleo farnesiano, le sculture e i gruppi colossali di marmo, provenienti dalle terme di Caracalla, come la statua di Eracle in riposo, copia di età romano-imperiale dall’originale di IV secolo a.C. di Lisippo, o il gruppo del Toro, il più grande dei gruppi statuari superstiti dell’antichità, scolpito in un unico blocco, vera e propria montagna di marmo, raffigurante il sacrificio di Dirce, la Tazza in agata sardonica lavorata a rilievo con allegorie della fertilità dell’Egitto tolemaico; dal nucleo vesuviano i mosaici e gli affreschi, databili tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., che per quantità e stato di conservazione sono unici al mondo, i materiali legati al vivere quotidiano dei romani, quali suppellettili in bronzo, vetro, argento, ceramica, osso e avorio. Tra i mosaici degno di menzione è il mosaico di Alessandro, il più grande emblema figurato restituitoci dal mondo antico, proveniente dalla Casa del Fauno di Pompei, che rappresenta lo scontro decisivo tra l’esercito greco-macedone di Alessandro Magno e quello persiano di Dario. Tra gli affreschi (circa 1.600 pezzi) si segnalano i contesti staccati da ville del suburbio pompeiano, come quelli da Boscoreale (50 a.C.) o da Boscotrecase (10 a.C.) o da edifici pubblici come la c.d. Basilica di Ercolano. Ancora è da segnalare il c.d. Vaso blu, rinvenuto a Pompei, eseguito con la tecnica del vetro-cammeo, databile alla prima metà del I secolo d.C.  Dagli scavi dei centri magno-greci provengono i giganteschi crateri di produzione apula, databili alla metà del IV sec. a. C., tra i quali questi si segnala il cosiddetto Vaso del Pittore di Dario rinvenuto a Canosa, che prende nome dalla rappresentazione del re Dario il quale, circondato dalla sua corte.
A seguito del trasferimento nel 1925 della Biblioteca nella attuale sede di Palazzo Reale, e nel 1957 della Pinacoteca (che andò a costituire il “Museo di Capodimonte”), l’Istituto napoletano acquisisce definitivamente l’identità di Museo Archeologico. Negli anni ’70 del 1900 è stato dato l’avvio ad un grande unitario progetto di riallestimento delle Collezioni che sarà completato entro l’autunno del 2023.

Scheda mostra ‘I pittori di Pompei’

Titolo: I pittori di Pompei

Sede: Museo Civico Archeologico, Via dell’Archiginnasio 2, 40124 Bologna

Periodo: 23 settembre 2022 | 19 marzo 2023

A cura di: Mario Grimaldi

Promossa da: Comune di Bologna | Museo Civico Archeologico, Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Prodotta da: MondoMostre

Partner: Trenitalia Tper, FiCO Vivaticket S.p.a.

Progetto Allestimento: PANSTUDIO architetti associati, Bologna (Paolo Capponcelli, Mauro Dalloca, Cesare Mari con Carlotta Mari e Federico Maria Giorgi)

Lighting Design: Light Studio, Milano (Iskra e Giuseppe Mestrangelo)

Orari Di Apertura: tutti i giorni esclusi i martedì non festivi. lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì 10-19. sabato, domenica, festivi infrasettimanali 10-20. ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

Biglietti: Intero open € 16. Intero € 14. Ridotto € 12: visitatori dai 18 ai 25 anni, famiglie composte da 1 o 2 adulti + bambini dai 6 ai 17 anni (utilizzabile insieme a Ridotto Giovani), portatori di handicap, docenti e gruppi di adulti di minimo 15 persone e fino ad un massimo di 25 persone (tolleranza fino a 29). Ridotto speciale € 10: visitatori con convenzioni speciali e possessori biglietto Museo Civico Archeologico. Ridotto € 5: scuole, giovani dai 6 fino ai 17 anni, studenti universitari ogni mercoledì dalle 14.30 fino a chiusura mostra previa esibizione del tesserino universitario (N.B. non viene applicato costo di prevendita su questi biglietti) Gratuito: persone con disabilità e loro accompagnatore; alunni con disabilità in gruppo scolastico; giornalisti accreditati; bambini da 0 a 5 anni; guide turistiche; soci ICOM.

Infoline E Prevendite: Tel. +39 02 91446110, mondomostre.vivaticket.it

Siti Web: ipittoridipompei.it , museibologna.it/archeologico

Catalogo: MondoMostre

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