A Guarene: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta due nuove mostre a Palazzo Re Rebaudengo e un’opera di Binta Diaw al Parco d’arte.

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta, dal 18 maggio al 21 luglio, a Palazzo Re Rebaudengo a Guarene le mostre I nostri fiumi condividono una bocca e Accepting the Void di Alessio Pellicoro. Il 18 maggio, in occasione dell’inaugurazione delle due mostre, è stata svelata anche l’opera Paesaggi Corporali di Binta Diaw al Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo. A cura di Aigerim Kapar, Andria Nyberg Forshage, Jiayue He, le mostre concludono la 18a edizione del Young Curators Residency Programme, coordinato da Michele Bertolino.

I nostri fiumi condividono una bocca (Palazzo Re Rebaudengo)

La mostra indaga il tema della solidarietà e condivisione nel lavoro di dieci artiste situate in Italia, ponendo attenzione alle differenze plurali e singolari. La foce (in inglese mouth) di un fiume è il punto in cui il fiume ne incontra un altro, la bocca (mouth) è definita come l’origine del discorso: giustapporne i significati parla alle relazioni diversificate ma fluide che uniscono i corpi e i luoghi, sedimentano le storie negli archivi, si muovono tra terre, da fiumi a mari, tra memorie e sentimenti, tra il personale e il politico. Nelle diverse pratiche, le artiste presentate riflettono sulla memoria collettiva, la giustizia ambientale, si muovono come corpi agenti e propongono azioni di solidarietà comunitaria. Attraverso il ricordare, l’attivazione di archivi e tramite rituali di cura e desiderio, le artiste discutono le eredità attuali dell’imperialismo e delle infrastrutture coloniali e come queste si specchino nelle complesse realtà postcoloniali. Affrontare queste realtà obbliga a confrontarsi con le continue distruzioni di ecosistemi e di mondi-della-vita a causa di sfruttamento, estrazione e violenza, influendo sulle condizioni umane e più-che-umane per la vita.

Suggerendo strategie e immaginari per spostare – queerizzare, trasgredire, abolire, riparare, influenzare – le narrazioni dominanti, le artiste interpretano le lotte locali, globali, sociali e personali come interconnesse, attraverso la migrazione della conoscenza, al di là dei confini territoriali. Annalisa Cannito, in collaborazione con le attiviste della Valle del Bormida, riattiva l’archivio di uno dei primi movimenti ambientalisti rurali in Italia, con una storia centenaria di resistenza contro l’ACNA, una fabbrica chimica. Continuando la sua ricerca In the Belly of Fascism and Colonialism, rilegge il passato storico, le dinamiche economiche dello sfruttamento, portando le prove dell’intreccio tra questioni locali e globali. L’installazione multimediale di Maria Giovanna Abbate riunisce opere realizzate da diverse artiste e associazioni attive intorno al fiume Volturno (CE). Utilizzando la psicogeografia, Abbate naviga tra situazioni individuali e ambientali marcate da tensioni, precarietà e fragilità, riflettendo sul ruolo dell’arte nell’avvio di processi di trasformazione.

Attraverso l’ascolto e la performance, Sandra Rilletti invita il pubblico ad ascoltare il proprio corpo, e lo stress che spesso riceve, e la connessione con i propri ambienti. Rilletti racconta il Mediterraneo tramite miti e racconti, come uno spazio per il sonno e la rigenerazione al di là del linguaggio patriarcale. Qui balene e delfini suggeriscono conoscenze somatiche ed esperienze per muoversi insieme attraverso il dolore del presente turbolento. Su drappi di seta bianca, Adji Dieye utilizza materiali fotografici selezionati dagli archivi nazionali del Senegal e dal suo archivio personale, richiamando ciò che manca tra realtà coloniali e memorie individuali, mettendo in discussione la formazione, l’esperienza e la rappresentazione delle identità della diaspora. Noura Tafeche connette arte e attivismo indagando le modalità in cui l’estetica della festa, i colori pastello e la romanticizzazione interagiscono con la violenza, intesa come manifestazione e sublimazione, imbarazzo o vendetta. Archiviando e mappando i flussi di immagini e dati caricati sui social media, Tafeche adotta una visione critica su come gli immaginari di internet confondano il “carino” e la propaganda bellica.

Affrontando il recente passato industriale e movimenti migratori degli individui con un’attenzione poetica effimera, Valerie Tameu mostra come i ricordi si creino attraverso l’interazione tra archivi personali e istituzionali. Con I Miss You So Much, Tameu coreografa un ricordo collettivo della vita della comunità nera, della classe operaia e delle organizzazioni sociali nella Torino degli anni ’80. La ricerca artistica sfaccettata di Derek MF Di Fabio è rappresentata con una serie di disegni. Diffusi nello spazio espositivo, indicano verso percorsi queer e femministi quantistici tramite cui i nostri sensi e le nostre comunità possono accogliere la pluralità e aprirsi all’ignoto. Nel lavoro video Kumeta, Genny Petrotta racconta con attenzione la storia della rivolta della Repubblica Contadina che fu fondata a Piana degli Albanesi, città natale dell’artista, negli anni ’40. Petrotta affronta la dinamica della trasmissione intergenerazionale del trauma, guardando al passato non dimenticato della violenza vissuta dalla comunità Arbëreshë.

La serie fotografica di Grace Martella traccia un’autobiografia disorientata dell’adolescenza. Spaziando tra il lirismo dei paesaggi pugliesi e le prospettive transfemministe sulla bellezza, le opere parlano di un corpo sublimato che muta costantemente e muovendosi lascia tracce dietro di sé. L’installazione video di Liryc De La Cruz, Il Mio Filippino, affronta gli aspetti problematici dell’atto della cura e mette in discussione l’identità predefinita che viene imposta sui lavoratori domestici filippini in Italia. Traducendo silenziosamente l’invisibile in visibile, l’opera pone la domanda: i corpi marginalizzati possono davvero riposare? In occasione de I nostri fiumi condividono una bocca, una pubblicazione rappresenta uno spazio ulteriore, una foce di fiume aperta, in cui condividere e raccogliere materiali di approfondimento, tra cui ricerche artistiche in corso, scritti poetici, foto, documenti personali e saggi curatoriali. Il volume invita il pubblico a negoziare la propria comprensione delle realtà incontrate nelle sale espositive e ad approfondire le proprie riflessioni al di là dello spazio e del tempo della mostra.

Accepting the Void di Alessio Pellicoro (Palazzo Re Rebaudengo)

L’artista utilizza il mezzo fotografico come strategia di analisi, revisione. È mezzo di cura, tramite cui ricucire le ferite del paesaggio e del corpo. La mostra presenta una selezione di due progetti – l’altro deserto rosso e me, the black box – in conversazione. l’altro deserto rosso (2017-in corso) racconta Taranto e i distretti periferici e marginali, incastrati tra le aree industriali, lontani rispetto al centro cittadino. È il ritratto di un disastro ambientale aggravato, in cui la prevista espansione urbanistica della città si scontra oggi con una profonda contrazione demografica e una depressione produttiva. La tossicità del territorio penetra nei corpi delle persone. me, the black box (2023-in corso) è il racconto della diagnosi e del decorso di un linfoma di Hodgkin, di cui ha sofferto l’artista. Il mezzo fotografico è occasione per un’autoanalisi che interpreta il corpo come risultato di una serie di input che provengono dal mondo esterno e ne contaminano la natura più intima. La mostra fa parte del programma di EXPOSED Torino Foto Festival.

Binta Diaw. Paesaggi corporali (Parco d’Arte)

In occasione dell’inaugurazione è stata svelata una nuova committenza al Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo. L’opera fotografica Paesaggi corporali (2024) dell’artista Binta Diaw è presentata sul billboard della Collina di San Licerio e costituisce un nuovo lavoro parte dell’omonima serie avviata dall’artista nel 2019. All’interno di questo ciclo, Diaw impiega dettagli fotografici del corpo femminile nero per realizzare dei paesaggi naturali. Le immagini sono spesso modificate attraverso interventi colorati, che evidenziano il rapporto ancestrale tra esseri umani e terra. Al centro di Paesaggi corporali (2024) emerge la relazione tra il paesaggio collinare dell’area piemontese e l’idea della radice, un simbolo di connessione tra storia, corpi e società contemporanea. Le mostre sono nell’ambito del progetto SNODI. fsrr.org

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