Ci sono ritorni ben più che attesi, e l’impazienza che ne scandisce l’anelito dimostra un affetto senza pari: accade in questi giorni per Luca Pignatelli, di nuovo a Firenze come uno dei pochi, grandi maestri dell’arte.
A più di tre anni dalla personale Migranti, ospitata nella Sala del Camino della Galleria degli Uffizi, l’artista milanese torna infatti sulla scena fiorentina con Senza Data, a cura di Sergio Risaliti. La cornice è il ceruleo Museo Stefano Bardini, un compendio composito e bizzarro di opere d’arte di ogni età, raccolte dal commerciante fiorentino omonimo nel corso dell’Ottocento.
Il tempo è materia: ecco come l’ha plasmato Pignatelli
Il tema della mostra – e non poteva essere altrimenti – è il Tempo: l’estetica di Pignatelli, d’altronde, prende le mosse proprio da una generale riflessione sulle sedimentazioni della Storia fino alla contaminazione del presente, che risulta infine il risultato di queste compenetrazioni differenti.
La sfida della narrazione di una visione così peculiare è stata vinta dalla commistione di supporti anomali, tecniche miste e selezioni estremamente personali. Il risultato non è disomogeneo, anzi: le opere del Pignatelli si integrano perfettamente nell’esposizione permanente del museo, tessendo un dialogo innovativo.
E non poteva essere diversamente. Dalla lamiera al legno, dai lavori su telone ferroviario ai grandi dipinti realizzati su tappeti persiani di inizio Novecento, queste opere d’autore sposano icasticamente la filosofia dell’ambiente che ospita la personale. Interpellato sul senso del percorso espositivo, spiega infatti l’artista:
“Il museo Bardini è un simbolo nel mondo di cosa significhi una raccolta capace di rappresentare una stratificazione di tempi, ma anche di culture”.
Antico e moderno: allo stesso momento, da sempre, per sempre
Perciò, il senso del tempo non si svela con l’affastellamento disordinato di opere e materiali, ma pone come centrale l’immagine, simbolo di una riflessione più ampia, non malinconica né nostalgica, sulla memoria. E anche sulla classicità esibita in questi pezzi unici, che si riappropria del passato – fossile, iconografico, antiquario – per raccontare un presente redivivo e mutevole, ma non per questo difficile da interpretare:
“Con questa mostra vorrei rispondere alla domanda: cosa sta di fronte a un’immagine? Per me si tratta di un tempo plurale, un montaggio di temporaneità, sfalsate e quindi differenti”.
Così, senza difficoltà, il tempo storico si somma al tempo dell’arte, in un circuito di riappropriazione del passato attraverso supporti industriali, busti d’età greca o romana dagli occhi chiusi, poltrone con schienali rappresentanti Ermes e Afrodite e altre insolite combinazioni pronte a svelare che il tempo è davvero eterno. O meglio: senza data.