È partita oggi, a Roma, una mostra concettuale e multimediale in pieno stile Black Mirror. “Please come Back. Il mondo come prigione?“ può essere considerato, a ragione, l’alter ego nel mondo fisico dell’artefatto filmico britannico, molto in voga nell’ultimo periodo. Si tratta, infatti, di una sacrosanta riflessione sul confine tra privacy e mondo pubblico/condiviso/connesso, quindi, tra controllo e spazio di libertà, minacciato oggi dal tutto comunicativo in cui viviamo. La comunicazione è globale, come la società; la condivisione è globale, così come la presenza dei social network. Dove inizia, dunque, la nostra libertà, all’interno di spazi che sembrano sempre più costrittivi?
È stato questo l’interrogativo che ha portato 26 artisti e 50 opere all’interno della Galleria 5 del MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, coordinati dalla curatela di Hou Hanru e Luigia Lonardelli e destinati a restarci fino al 21 maggio.
L’esposizione può essere considerata una sorta di spin-off dell’opera omonima del collettivo Claire Fontaine, nata dall’interrogativo degli autori intorno al concetto di reclusione, che troppo spesso coincide con quello di società, esplorandone tutti i risvolti inquietanti.
La mostra è composta da tre sezioni: Dietro le mura, Fuori dalle mura e Oltre i muri.
La prima sezione, Dietro le mura, presenta come filo conduttore l’esperienza di reclusione vera e propria ed è stata curata, per questo, da artisti che hanno fatto un’esperienza diretta della prigione. Qualcuno di loro è stato realmente recluso, qualcun altro ha fatto della reclusione il soggetto principale del proprio lavoro, qualcun altro ancora è cresciuto in ambienti caratterizzati dalla presenza inquietante – in un modo o nell’altro – di questa realtà. Segnaliamo, ad esempio, Berna Reale, che presenta, con un video, la luce della torcia olimpica all’interno delle carceri brasiliane; Harun Farocki, che utilizza, invece, i filmati delle videocamere di sorveglianza del carcere di massima sicurezza di Corcoran in California – per un realismo 2.0; ed, infine, Gianfranco Baruchello con le sue interviste ai detenuti delle carceri di Rebibbia e Civitavecchia, come novello Pasolini che va a scoperchiare il tappo che lo spettacolo quotidiano mette sul terzo paesaggio e la sua fauna.
Fuori dalle mura, invece, si fa carico della riflessione intorno alle prigioni invisibili. Invisibili fisicamente ma molto presenti nella vita spirituale, o immateriale, delle persone. Abbastanza ricorrente la tematica delle città-prigioni. Tra gli altri artisti, si ricordano Mikhael Subotzky, che presenta materiali video forniti dalla polizia di Johannesburg; Lin Yilin, con una performance che riproduce una scena di privazione della libertà per testare le reazioni dei cittadini della città cinese di Haikou e di Parigi; Rä Di Martino, che guarda a Bolzano come al fondale di una messa in scena con finti carri armati.
Infine, l’ultima sezione, Oltre i muri, volta a sostenere la tesi di fondo per cui la sorveglianza, dopo l’11 settembre 2001, sia diventata una “pratica organizzativa dominante”. Esplicativo, in tal senso, il lavoro di Jenny Holzer, che fa luce sulla cosiddetta “guerra al terrore”, così come il progetto di Simon Denny ispirato direttamente alle rivelazioni di Snowden; Jananne Al-Ani, invece, segue – attraverso la prospettiva di un drone – diversi siti in Medio Oriente, mentre Zhang Yue si lancia in previsioni futuristiche, in cui è la guerra a farla da padrone, insieme ad un piano per la distruzione degli Stati Uniti.
Le tematiche affrontate, dunque, sono molte, attuali e complesse. Spetta di certo all’arte, così come al pensiero critico, mettere in mostra gli attriti di un’epoca; per risolverli servono atti creativi, altrettanto poetici.
Piero Di Cuollo
Via Arte.it