Aveva ragione Giuseppe Verdi quando lo definiva “balsamo del cuore e dello spirito”: a cogliere l’essenza sentimentale del caffè è Diego Galdino, barista/scrittore che con le sue storie d’amore ha conquistato le scene editoriali internazionali.

È tornato in libreria con L’ultimo caffè della sera, seguito dell’amato caso editoriale Il primo caffè del mattino, in cui gioca un ruolo centrale la cultura del caffè all’italiana. Qui il bar come luogo di aggregazione, di crescita e di scoperta si unisce all’esperienza sensoriale del rituale mattutino per eccellenza: il cucchiaino che frantuma la crema, il profumo che inonda le narici, l’aroma intenso e inimitabile. Gesti semplici, eppure capaci di raccontare un’epica delle emozioni privata e genuina – e di fare da quinta teatrale a nuovi incontri.

Con il ritorno sulle scene di Massimo e della sua vita sentimentale, Diego Galdino racconta una grande verità: amare è un’arte, proprio come fare il caffè.

Arriva in libreria “L’ultimo caffè della sera”, l’atteso seguito de “Il primo caffè del mattino”: il romanzo più amato e letto dello scrittore-barista Diego Galdino

L’ultimo caffè della sera è un ritorno alle ambientazioni di Il primo caffè del mattino: quando hai deciso che era tempo di dare nuovamente voce a Massimo e alle sue vicissitudini sentimentali? Come hai vissuto questo ritorno al nido da cui hai spiccato il volo?

In realtà non era previsto che io scrivessi il seguito de Il primo caffè del mattino: non sono un amante dei seguiti, preferisco da sempre cimentarmi in storie autoconclusive. Ma negli ultimi anni mi sono capitate un sacco di cose brutte, o almeno non belle, che hanno stravolto la mia vita e il bar di famiglia – che poi è la stessa cosa. Così ho deciso di scrivere L’ultimo caffè della sera, come dico sempre: “per rendere leggendario l’ordinario“, perché di bar dove bere il caffè ce ne sono tantissimi in tutto il mondo, ma come quello dove sono nato e ancora oggi continuo a fare i caffè credo ce ne siano pochissimi. 

Anch’io come Massimo, il protagonista de Il primo caffè del mattino, ho perso un grande amico, un secondo padre. È stata una perdita, come accade nel mio nuovo romanzo, improvvisa e destabilizzante, per me e per il bar. Qualche mese dopo anche mio padre, quello vero, si è ammalato gravemente.

Così sono rimasto da solo, sia fuori che dietro il bancone del bar: a quel punto, sono dovute cambiare tante cose, ho dovuto reinventarmi e per non mandare perduti i ricordi e le persone, ho deciso di scrivere questo libro mettendoci dentro tutto, le battute e gli aneddoti che per me erano familiari, erano casa, aggiungendoci ciò che mi rende lo scrittore che sono: l’amore.

Di giorno barista, di notte scrittore: dietro il bancone hai fatto pratica di empatia, assorbendo le storie degli altri per imbastirne una personale. Come influenza questo mestiere – che molto sacrifica della tua vita privata e delle ore di sonno – la tua scrittura? 

La mia è un po’ una doppia vita come quella di Clark Kent e Superman. La cosa più bella è quando vengono al bar lettori dei paesi stranieri in cui sono stati pubblicati i miei romanzi, per farsi fare una dedica o scattarsi una foto dietro al bancone insieme a me. Vedere le loro facce incredule quando entrano nel bar e mi trovano dietro al bancone a fare i caffè come il protagonista dei miei romanzi è qualcosa di bello a cui non mi abituerò mai. 

Lì si rendono conto che è tutto vero, che non mi sono inventato niente, che sono entrati a far parte delle mie storie come i personaggi dei libri che hanno letto. Poi quando gli presento Antonio l’idraulico, Pino il parrucchiere, Luigi il falegname e il tabaccaio cineromano Ale Oh Oh la loro realtà supera la mia fantasia.

A tu per tu con Diego Galdino, edito Sperling & Kupfer

“A chi dimentica e cancella tutto, e a chi non dimentica e ce lascia er core” recita una parte dell’epigrafe: cos’è dunque l’amore per Diego Galdino? E da quali ispirazioni letterarie si dipana?

A me piace scrivere romanzi d’amore, perché scrivo quello che sento, quello che il mio cuore ha bisogno di esternare: io amo l’amore e tutti i suoi derivati. Per me la scrittura è un modo per mettersi a nudo: scrivere è una seduta terapeutica. Ogni essere umano, chi più chi meno, credo abbia un lato romantico: per questo motivo la componente romantica in un barista non può non esserci. Perché se ci metti l’amore viene tutto più buono. 

Il mio libro della vita è Persuasione di Jane Austen, perché è il romanzo d’amore che maggiormente mi rappresenta come scrittore e come lettore. Ma sono tanti gli scrittori a cui devo essere grato, perché leggere le loro opere ha sicuramente contribuito a fare di me lo scrittore che sono. Penso a Nicholas Sparks, Marc Levy, Guillame Musso, Paullina Simons, Nicholas Evans.

E poi c’è il rapporto con Roma, città eterna – e in eterno contrasto tra delizia e tormento.

Vivere Roma da turista è diverso dal viverla ogni giorno da tutta una vita. Io cerco di regalare ai miei lettori la civis romana, la possibilità di sentirsi romano per il tempo di una storia e di continuare ad esserlo nel cuore anche dopo aver chiuso il libro.

Cerco di far diventare la mia scrittura una mano che ti prende e ti porta a passeggiare sull’Aventino, uno dei sette colli della città eterna, passando dalla Bocca della Verità al Circo Massimo, riposandosi qualche minuto nel Roseto comunale, per poi proseguire attraverso le abbazie medievali più belle e importanti di Roma, per arrivare infine in uno dei giardini più belli del mondo: Il giardino degli aranci.

Qual è il ricordo più dolce che ti lega a questo libro?

Il caffè alla Nutella!

C’è già un’altra storia d’amore da cantare su carta, dietro l’angolo?

Il mio progetto futuro più importante è il mio ultimo romanzo “L’ultimo caffè della sera”, un romanzo a cui tengo tantissimo per tutti i motivi che ho già detto. Vorrei davvero che fosse letto da più persone possibili. Non per scalare le classifiche o fare numeri da capogiro, ma per far capire alle persone che i romanzi d’amore fanno bene al cuore e all’anima, perché l’amore è l’unico colore che sta bene su tutti…