A Paradise Valley, la paesaggista Michele Shelor ha creato un giardino che esalta l’utilizzo della vegetazione delle aree desertiche. Una scelta sostenibile che ha regalato anche meravigliose fioriture. La Camelback Mountain, così chiamata per la sua forma che ricorda la gobba e la testa di un cammello inginocchiato, si erge maestosa e solitaria tra le città di Paradise Valley, Phoenix e Scottsdale in Arizona, nella zona del Deserto di Sonora.

© Foto di Caitlin Atkinson

Nonostante le elevate temperature, il deserto ospita una varietà di piante di notevole bellezza e con fioriture inaspettate, una notevole resistenza al calore e alla siccità, oltre che alle escursioni termiche, causate soprattutto dalle piogge invernali e dai temporali estivi, che fanno precipitare la temperatura anche di 20°C ma che garantiscono una minima quantità di acqua.

© Foto di Caitlin Atkinson

Piante con un fascino sicuramente inconsueto e che possono dare vita a giardini esuberanti, di grande impatto e sostenibili che possono essere un modello per la conservazione del deserto. Sono alla base della filosofia progettuale dello studio Colwell Shelor Landscape Architecture di Phoenix, noto per i suoi progetti minimalisti ma vivaci e ispirati all’ecologia del luogo.

© Foto di Marion Brenner

Era quindi l’interlocutore ideale di una coppia che aveva acquistato un terreno lungo la parte bassa della collina sul lato nord della Camelback Mountain a Paradise Valley per costruire una casa che fosse immersa nel paesaggio e da dove poter ammirare, migliorandola e integrandola nell’ambiente, la già splendida vista. Desiderava un giardino che fosse l’esatto opposto di quelli confinanti, con palme esotiche, piante ad alto consumo idrico e grandi prati: artificiosi e completamente avulsi dal contesto. 

© Foto di Caitlin Atkinson

La proprietà di oltre un ettaro, in direzione sud-nord, e in notevole pendenza, è inserita in una comunità vegetale di macchia desertica, che la paesaggista Michele Shelor ha preservato e potenziato; è inoltre attraversato da due corsi d’acqua intermittenti (wash), tipicamente asciutti ma soggetti a un rapido flusso durante i fortunali estivi e i periodi di pioggia invernale, che raccolgono anche l’acqua che scende dalla montagna, rallentandone la corsa e riuscendo a irrigare alcune aree del giardino.

© Foto di Caitlin Atkinson

La progettazione della residenza e del suo sviluppo all’esterno, affidata a Darren Petrucci, e quella del paesaggio hanno risolto il problema delle pendenze, dell’irrigazione, seppur minima, che in alcuni luoghi è necessaria, riuscendo nel non semplice intento di fondere i due ambienti, perfettamente inseriti l’uno nell’altro ed entrambi nella natura del luogo, rimanendo fedeli ai gusti e allo stile di vita dei padroni di casa. Il giardino, costituito da una parte centrale con terrazze in sequenza da sud a nord dove si alternano patii e grandi fioriere, un’area a prato, la piscina e la pool house, e una esterna grande il decuplo di quella centrale, completa la qualità scultorea della casa senza entrare in competizione con essa.

© Foto di Caitlin Atkinson

A causa della siccità, in Arizona è importante catturare tutta l’acqua piovana come fonte di irrigazione supplementare: il grande tetto a farfalla della villa, tramiti appositi sistemi, la raccoglie e incanala verso un terzo wash centrale, attraverso tutte le aree esterne su cui la casa si affaccia e ne immagazzina il deflusso in una cisterna in corten, delle dimensioni di tre metri per dieci, che è parte integrante del giardino e nella quale confluisce anche quella dei cortili di ingresso sul lato nord passando sotto la residenza.

© Foto di Caitlin Atkinson

L’acqua viene poi rilasciata in modo passivo attraverso piccole aperture nella parte frontale della cisterna facendola defluire fino all’estremità inferiore della proprietà.  Il giardino è permeato da un’etica di sostenibilità e conservazione del paesaggio del deserto ed è rigoglioso perché, per chi lo riesce a capire, il deserto è pieno di vita e di bellezza. In questi termini, tutta l’area, dal parcheggio alla villa e alla piscina, può essere concettualmente intesa come un corso d’acqua nascosto, da cui il nome ‘Ghost Wash’.

© Foto di Caitlin Atkinson

Quando la casa preesistente è stata demolita, il prato è stato rimosso e la siepe perimetrale di oleandri è stata immediatamente sostituita con alberi di Parkinsonia microphylla, Olneya tesota e Prosopis juliflora insieme a cactacee e ad arbusti che crescono spontaneamente nelle aree della Camelback Mountain, in particolare Carnegiea gigantea e Larrea tridentata, piantati nella terra nuda e lasciati crescere per offrire una privacy alla casa e al giardino, che risultano così anche connessi con il paesaggio naturale.

© Foto di Marion Brenner

Il processo di piantagione è iniziato quattro anni prima che la residenza fosse ultimata, in modo da garantire ai suoi abitanti un quasi pronto effetto.  Un grande cancello in corten consente l’accesso alla proprietà e immette in un vialetto di granito decomposto che si sdoppia per scendere ai garage e condurre al parcheggio per le auto degli ospiti, circondato da aiuole senza soluzione di continuità tra cui spiccano Parkinsonia microphylla e specie di Opuntia che spuntano tra i massi recuperati dal sito.

© Foto di Matt Winquist

Un grande muro in mattoni con Stenocereus alamosensis, che si protendono come i tentacoli di una piovra dalle fiorire posizionate nella parte superiore, separa il parcheggio dal patio davanti all’ingresso di casa, a cui si giunge tramite una breve rampa di scale che si rivela dopo una curva a un’estremità del muro.

© Foto di Caitlin Atkinson

La casa si compone di tre volumi rivestiti all’esterno in mattoni burattati: due lunghi parallelepipedi da sua a nord sui lati est e ovest, collegati da un terzo, centrale e riparato da un grande tetto sporgente, che accoglie anche i pannelli fotovoltaici. Il corpo centrale è caratterizzato da vetrate a tutta altezza su entrambi i lati, sud e nord, che rendono indistinto il confine tra esterno e interno oltre a inquadrare le magnifiche viste.

Michele Shelor
© Foto di Matt Winquist

Per le grandi fioriere Shelor ha scelto composizioni di cactacee scultoree e di impatto, accostate ad altre complementari, andando quasi a comporre dei quadri di piante, che lei ha definito “Freaks and Geeks”. Proprio davanti al soggiorno c’è una Fouquieria columnaris dal buffo portamento e numerosi rametti flessuosi e foglie a grappolo accompagnate da spine sottili. Al termine della prima sequenza di patii e fioriere si trova la cisterna in corten dove hanno trovato posto specie che tollerano sia l’inondazione sia la siccità.

Michele Shelor
© Foto di Caitlin Atkinson

Più avanti, un piccolo prato, dove la figlia della coppia può giocare, regola il deflusso dell’acqua e le emissioni di anidride carbonica, oltre a mitigare il calore; infine una nuova alternanza di fioriera e patio si conclude con una grande piscina e una pool house dai vetri oscurati, in un continuo gioco di riflessi della montagna, dei “Freaks and Geeks” e del deserto ricreato intorno.

Michele Shelor
© Foto di Caitlin Atkinson

All’esterno del Ghost Wash il giardino si estende in tutta la larghezza, sostenuto da muri, con un planting design che alterna sapientemente alberi, arbusti ed erbacee autoctoni o che provengono dalle regioni aride e desertiche di tutto il mondo e con una lunga stagione di interesse, non solo legata alle fioriture, ma anche alle foglie, alle spine, alla consistenze e alle forme.

Michele Shelor
© Foto di Caitlin Atkinson

Uno spettacolo si succede a un altro, nel giardino c’è sempre qualcosa da ammirare o su cui poggiare lo sguardo. Il luogo è permeato da un’etica di sostenibilità e conservazione del paesaggio del deserto, con effetti non scontati eppure rigogliosi perché, per chi lo riesce a capire, il deserto è pieno di vita e bellezza. wikipedia.org