Le prime sperimentazioni artistiche che ritraggono le piazze d’Italia di De Chirico risalgono all’inizio del secondo decennio del Novecento, proprio quando si affermava l’arte futurista, carica di un dinamismo a tratti esasperato nella sua frenesia, e, al contempo, alcuni pittori esprimevano la necessità di un ritorno alla figurazione, alla ricerca di una forma compiuta. La pittura metafisica è stata interprete di questo secondo approccio e ha annoverato, tra i protagonisti, Giorgio De Chirico, suo fratello Alberto Savino, Carlo Carrà, Filippo De Pisis e Giorgio Morandi.

Il termine metafisica indaga tutto ciò che si nasconde dietro l’apparenza, oltre il mondo materiale. Nei quadri non viene descritta la realtà che vediamo, ma uno scenario composto da oggetti, figure e architetture in cui, molto spesso, l’uomo è assente. La nuova dimensione trasmette un senso di smarrimento e inquietudine, a immagine, forse, del sentimento di sospensione che anticipa lo scoppio del primo conflitto mondiale.

La città nelle piazze d’Italia di De Chirico: visioni, vedute e analogie

Giorgio De Chirico, Piazza d’Italia 1937 © Fred Romero (CC BY 2.0)

Per l’analisi del linguaggio espressivo è sicuramente interessante giustapporre la contemporanea visione metafisica delle piazze d’Italia di De Chirico alla futurista ‘città che sale di Boccioni, rappresentative, nel loro rapporto dialettico, degli ideali e delle contraddizioni della società dell’epoca. Tuttavia, l’operazione concettuale di De Chirico può essere paragonata ai montaggi settecenteschi del vedutista Canaletto, realizzati con frammenti di architetture palladiane impiegati nella creazione di una Venezia immaginaria, e, quindi, alla ‘città analoga di Aldo Rossi teorizzata e composta nell’omonima tavola per la Biennale di Venezia del 1976.

Il primo esempio delle piazze d’Italia di De Chirico è riconducibile all’opera ‘Enigma di un pomeriggio d’autunno’, risalente al 1910. Sono state una costante dei dipinti dell’artista di origine ellenica tra gli anni venti e trenta, riprese anche durante il tardo periodo maturo neometafisico degli anni Sessanta. Tra queste si ricordano: ‘Meditazione autunnale’ (1912), ‘Mistero e melanconia di una strada’ (1914), ‘La torre e il treno’ (1934) e ‘Piazza d’Italia 1961’.

Gli elementi utilizzati dall’artista si legano al ricordo dei luoghi di una vita vissuta prima ad Atene e Costantinopoli poi a Monaco di Baviera, quindi a Milano, Firenze, Parigi, Ferrara, arrivando oltreoceano fino a New York, ed infine di ritorno a Venezia e Roma. Le figure sono spesso cariche di discordanze quasi inconciliabili tra loro, nelle loro prospettive indipendenti e le lunghe ombre scure, inquietanti, in contrasto con i toni accesi.

‘Le muse inquietanti’ (1916-17)

Giorgio De Chirico, Le muse inquietanti (1916-17) © Martin Beek (CC BY-NC 2.0)

Si tratta di un dipinto olio su tela, una delle rappresentazioni più interessanti delle piazze d’Italia di De Chirico, che si trova oggi conservata a Milano in una collezione privata. Il quadro risaliva al periodo ferrarese dell’artista, quando, insieme al fratello, si arruolò volontario e inviato nella città estense.

In primo piano sono poste due figure immobili: la prima è in piedi e posta di spalle, ha il corpo di una statua greca e la testa di un manichino sartoriale; la seconda ha l’aspetto di un fantoccio di pezza con la testa svitata e accostata alle gambe. Sul fondale della scena si riconoscono il Castello Estense di Ferrara e una fabbrica con due alte ciminiere, mentre, sulla destra, è posto un palazzo le cui arcate immerse nell’ombra rievocano un’architettura classica.

Ogni oggetto ha una scala di rappresentazione e regole geometriche autonome, che lo isola dagli altri. Ad esempio, l’inclinazione del piano su cui posano i manichini nasconde la base degli edifici, rendendo impossibile la lettura della figura d’insieme. Ancora, la scatola in primo piano è raffigurata secondo una prospettiva inversa, in cui il punto di fuga è orientato verso l’osservatore.

Il colore intenso del rosso laterizio della città di Ferrara pervade il dipinto, mentre il verde del cielo e le ombre allungate alludono a un crepuscolo estivo.

Andrea Zanin

 

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