Circa un anno fa, presso la Collezione Guggenheim di Venezia, si è tenuta una ricca retrospettiva – prima in Europa – dedicata all’artista indiano Vasudeo Santu Gaitonde.

Crediamo che valga ancora la pena di parlarne, perché i lavori di Gaitonde trovano suggestivi punti di contatto tra i grandi pittori europei del ‘900 e l’arte orientale.

Nato nel 1924, si formò  alla School of Art di Bombay, approfondendo le tradizioni artistiche legate all’induismo.

Successivamente, ebbe modo di incontrare anche l’occidente, studiando i lavori di Kandinskij, Klee, Matisse, Picasso e altri grandi autori moderni, le cui suggestioni si sono ibridate, nelle sue tele, col suo background culturale.

L’artista, vissuto sino al 2001, era ed è noto per una particolare purezza di spirito – una forza interiore che annetteva anche le radici del buddismo zen – e, artisticamente, per essere un maestro del colore e della luce.

Gaitonde riteneva che il processo creativo si sovrapponesse alle bio-energie e dovesse, in qualche modo, svelare l’armonia della vita; i suoi quadri offrono altrettante “finestre di meditazione ” su scenari abitati dal silenzio.

La sua pittura nasceva da un’attitudine alla meditazione e, spesso, s’avvaleva di tecniche “energizzanti “, come l’uso del rullo per la posa del colore. Non parliamo però di energie esplosive, ma di una continua ricerca di flussi ed equilibri.

In vita, ha molto amato il cinema e la scenografia; sicuramente le luci misurate ma brillanti dei suoi lavori e la loro dimensione incantata, quasi in odore di fiaba, ne hanno assorbito la significativa suggestione.

Le immagini della cover e della galleria accluse sono state tratte dalla sezione dedicata, dalla Collezione Peggy Guggenheim, alla mostra sull’artista indiano.