Fondazione Marconi e Gió Marconi sono lieti di annunciare Mario Schifano TUTTO nelle carte… un’importante retrospettiva a cura di Alberto Salvadori che intende gettar luce sull’ampia e variegata produzione di opere su carta degli anni Sessanta di Mario Schifano.
Il progetto, realizzato con il supporto dell’Archivio Mario Schifano, affianca la mostra Mario Schifano: The Rise of the ‘60s curata da Alberto Salvadori e organizzata da Magazzino Italian Art in occasione dell’apertura del nuovo padiglione espositivo Robert Olnick Pavilion in Cold Spring, New York. In mostra sarà presente una selezione di opere su carta che intende ripercorrere i cicli più noti che l’artista affronta contemporaneamente anche su tela, a partire dai Monocromi fino ad arrivare a Compagni compagni.
L’opera e il viaggio di Mario Schifano sono stati intensi e mai lasciati soli. La produzione di opere su carta è importante e copiosa. Per l’intero decennio dei Sessanta dalle carte in mostra si può evincere come per Mario Schifano l’arte fosse TUTTO: è l’arte che si svolge e rivolge all’oggetto, alla realtà, ad una nuova coscienza attenta, in relazione alla città, allo spazio umano, alla vita, alle passioni.
Nelle opere su carta, come nei dipinti, vivida è la testimonianza di come tutto agisse su di lui, sul suo modo di vedere, pensare: i film, la segnaletica, la pubblicità, la politica, gli amori, le amicizie. Nulla sfugge alla necessità di fissare su un supporto il momento, l’idea fulminea, il concetto. Lui meglio di altri capisce, subito e autonomamente, differenziandosi, in assonanza prima dai fenomeni americani come la pop e il new dada, e poi da chiunque altro per l’intera carriera, come l’arte sia vita e viceversa. Le carte sono la mappa geografica del suo lavoro, del suo pensiero.
Le opere su carta occupano uno spazio importante nella sua opera: sono essenziali per una lettura in analogia sia in termini di rapporto di somiglianza con i dipinti sia in termini linguistici con l’intero suo lavoro. Dai primi anni del monocromo, che contiene e rielabora la grafica di strada, il linguaggio della cultura pop, non intesa come pop art, bensì come quella popolare dei pittori d’insegne, fino alle tele emulsionate, le carte sono sempre presenti come costante dell’idea che attraversa il momento.
Nel suo mondo le immagini non funzionano più nel modo in cui siamo abituati a leggerle, siamo costretti a riconsiderarle, svaniscono i rapporti tradizionali della composizione lasciando spazio alle mille possibilità che l’artista sceglie e determina come passaggio ineludibile. Quello che viene dato per scontato in termini pittorici e fotografici con Schifano evapora, ci pone di fronte ad un nuovo modo di affrontare realtà e invenzione che in lui diviene manipolazione attraverso la pittura, indifferentemente dal supporto.
Il lavoro, nel decennio dei Sessanta, ci porta ad analizzare le funzioni, gli usi, i ruoli sociali, i contesti culturali e politici. Con Schifano emerge la necessità della domanda: quali sono i nuovi ambiti di creazione? È un esercizio di filosofia legato all’esperienza di vita, un richiamo all’analisi dei comportamenti reali e diffusi, in antitesi a quelli elitari o specialistici. Schifano, con la sua opera – che poi è la sua biografia – appare come un sodale dalle connotazioni accentratrici, autoritarie, per aprirci poi improvvisamente, al contrario, a un sistema aperto, volontario e partecipativo alla sua arte.
All’ontologia si contrappone l’uso, all’autorialità l’accesso e la partecipazione, all’appropriazione l’adozione, alla creatività l’attribuzione di significato. Tutto è a disposizione, va condiviso, scelto. Dall’archivio in divenire, – costituito dalla mole di carte disegnate, dipinte – come disponibilità dei materiali e pretesa di totalità, si deve passare alla collazione pittorica come esercizio del distinguere, rovistare, selezionare, riciclare. Schifano è empirico e sperimentale, è affamato del mondo che gli si palesa davanti, trasforma tutto in pittura pura. Non è necessario che sia sulla tela, vive anche sulla carta.
Note biografiche
Nato a Homs, in Libia, nel 1934, Mario Schifano si trasferisce a Roma nell’immediato dopoguerra. Abbandonati gli studi, lavora come assistente del padre, che è archeologo restauratore al Museo Etrusco di Villa Giulia. Inizia a dipingere tele di matrice informale, che espone nella sua prima personale alla Galleria Appia Antica di Roma. Poi con Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini tiene la collettiva 5 pittori – Roma ’60, curata da Restany, e la critica inizia a interessarsi alla sua pittura. Abbandonati i modi informali, realizza opere monocrome con smalti industriali, dove la carta da imballaggio è incollata sulla tela e ricoperta da un solo colore.
Nel 1961 vince il Premio Lissone per la giovane pittura contemporanea e tiene una nuova personale alla Galleria La Salita di Roma. Dopo un viaggio negli Stati Uniti, dove ha partecipato alla mostra The New Realism alla Sidney Janis Gallery di New York, inizia a introdurre nelle sue tele frammenti dell’iconografia urbana. Lavora per cicli tematici: dai Paesaggi anemici alle serie dedicate alla storia dell’arte (Futurismo rivisitato, 1966). Invitato alla Biennale di Venezia nel 1964, partecipa l’anno seguente alla mostra inaugurale dello Studio Marconi, di cui diventa uno degli artisti più rappresentativi. Insieme alle nuove serie Ossigeno Ossigeno, Oasi e Compagni compagni, realizza pellicole d’avanguardia come Anna Carini vista in agosto dalle farfalle, che presenta nel 1967 allo Studio Marconi.
Dal 1970, dopo l’impegno politico e civile negli anni della contestazione, sperimenta il riporto di immagini televisive sulla tela emulsionata, cui aggiunge interventi cromatici con smalti industriali. Tiene numerose personali e nel 1972 espone alla X Quadriennale romana. L’anno seguente partecipa alla rassegna “Contemporanea”, curata da Achille Bonito Oliva nel parcheggio di Villa Borghese. Nel 1974 ha luogo all’Università di Parma una vasta antologica che con un centinaio di opere ripercorre la sua carriera artistica. In questi anni torna a rivisitare la storia dell’arte con opere ispirate ai capolavori delle avanguardie storiche e realizza nuovi cicli, tra cui Quadri equestri, Architettura, Naturale sconosciuto, Reperti.
Oltre a organizzare numerose personali in Italia e all’estero partecipa a diverse edizioni della Biennale di Venezia ed è inserito nelle principali rassegne dedicate all’arte contemporanea italiana, tra cui: Identité italienne, 1981, Centre Pompidou, Parigi; Italian Art of the XX century, 1989 Royal Academy, Londra; The Italian Metamorphosis 1943-1968, 1994, Solomon R. Guggenheim Museum, New York (poi trasferita alla Triennale di Milano e al Kunstmuseum di Wolfsburg). L’artista muore a Roma nel 1998.
Tra le molte mostre a lui dedicate, si ricordano le ampie antologiche alla Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2001); alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (2008-2009), alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Milano e al Musée d’art moderne Saint-Etienne Métropole; al Castello Pasquini, Livorno (2013); alla galleria Luxembourg & Dayan, Londra e New York (2014); al Complesso Museale Palazzo Ducale, Mantova (2017); alla Mayor Gallery di Londra (2018); al CIMA di New York (2021). A queste si affiancano le importanti mostre organizzate dalla Fondazione Marconi: Schifano 1960-1964. Dal monocromo alla strada (2005); Schifano 1964-1970. Dal paesaggio alla TV (2006); Grande angolo per uomini, manifesti e paesaggi (2013) e la mostra Mario Schifano. Qualcos’altro, organizzata da Gió Marconi nel 2020. Tra le principali e più recenti collettive figurano invece: The World Goes Pop, Tate Gallery, Londra (2016); Arte ribelle, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Milano (2017); Nascita di una nazione, Palazzo Strozzi, Firenze (2018); I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970, MADRE, Napoli (2019); A.B.O. THEATRON L’Arte o la vita, Castello di Rivoli (2021); Vita nuova, MAMAC, Nizza (2022); La luce del nero, Fondazione Burri, Città di Castello (2022). fondazionemarconi.org