TESTO DI GUIDO PIACENZA / FOTO DI DARIO FUSARO

Uno splendido piccolo parco a ridosso delle Alpi che si colora in autunno per la gioia di chi ama l’armonia della natura. Con una bella storia di famiglia

Se volete conoscere la storia del parco, con dati e numeri, potete trovare su internet vari siti esaurienti. Io vi racconterò altro. La Burcina è un piccolo parco/giardino a ridosso delle Alpi, all’incirca un cono alto 200 metri al centro di zone turistiche. A nord c’è il Santuario Mariano di Oropa, il più grande e interessante delle Alpi e una strada in piano, a 1200 sul mare, di 30-40 chilometri. A ponente il Parco della Bessa (unico) e a est il Parco delle Baragge (unico pure questo nel suo genere). Il mio bisnonno Giovanni acquistò piccoli appezzamenti e piantò nel 1848 cinque sequoie californiane, tra le prime introdotte in Europa giunte da Levante, dalla Russia. Suo figlio Felice fece il resto e piantò dal 1892 un migliaio di rododendri in un’ampia conca che fioriscono dal 10 maggio alla fine del mese. Suo padre si recava due volte all’anno alle aste delle lane a Londra, dopo la metà del 1800. Di certo avrà respirato l’aria di piante e giardini. I ricchi londinesi si costruivano dimore di campagna spesso con ampie serre mentre i cacciatori di piante portavano in patria novità assolute dalla Cina, dal Giappone e dagli Stati Uniti. La Royal Horticultural Society già esisteva da 50 anni. Gli alberi messi a dimora sono quelli che si trovano anche in tutti i giardini ottocenteschi del Nord Italia, il cipresso calvo della Florida, la Magnolia sempreverde e l’Albero dei tulipani entrambi pure del Nord America, la Criptomeria del Giappone, e cosi via. Quello che in famiglia ci sorprende è il fatto che il nonno Felice, un vero industriale, sia stato in grado di piantare lui stesso il parco senza il supporto di un paesaggista. Lui diceva: “Prima pianto e poi tolgo per creare i chiaroscuri”. Le viste erano importanti, sia sulla pianura sia sulla vicina montagna, cosi pure le grandi rocce che amava mettere bene in evidenza. Durante gli anni in cui fui presidente del Parco decisi di piantare, dov’era possibile, alberi e arbusti che crescessero unicamente in terreni a reazione acida e soprattutto che avessero una notevole colorazione autunnale. In primavera lo spettacolo delle fioriture, in autunno quello del fogliame, due mesi di colori allegri. Alcuni visitatori tornano a casa con mele e castagne nelle tasche. I fotografi si scatenano e le scolaresche tornano in classe con foglie stupende da conservare. Ricordo che anche mio padre si riempiva le tasche di foglie, muschi e quant’altro da portar giù in fabbrica al tintore. Proprio dai colori della natura e dai suoi accostamenti si ispirava per creare le coloriture per le stoffe invernali.