Luca Canavicchio, artista fiorentino, tra creature maestose e teiere graziose, direttamente in conversazione.

Da cosa nasce la sua ispirazione? C’è qualcosa che l’accende particolarmente?

Capita a volte che mi baleni in mente una sagoma ben definita, ma questo, a dire il vero, è un fenomeno che si verifica piuttosto raramente. Nella maggior parte dei casi arrivo a concepire una forma mediante l’osservazione: scrutare realtà circostanti e lontane, immaginare come tradurre l’idea in ceramica, un essere vivente o una sensazione. Attività che svolgo in modo continuo. Un altro “stratagemma” è quello di cercare nuove funzioni di un oggetto, in potenza o esistente. Tuttavia ritengo la sorgente più copiosa di nuovi spunti sia il lavoro stesso: le infinite possibili “variazioni su un tema” che sgorgano naturalmente.

Ha sempre sentito di voler intraprendere questo tipo di percorso?

Ho desiderato da sempre impegnarmi in un mestiere di tipo artigianale, ma non pensavo in particolare alla ceramica. L’idea originaria era piuttosto quella di occuparmi di restauro e decorazione murale, tanto che ho iniziato studiando pittura all’Istituto Statale d’Arte. Al termine dell’impegno universitario avevo deciso di  intraprendere la carriera dell’insegnamento ma l’incontro col mondo della ceramica ha riacceso l’antica passione per il lavoro creativo e manuale.  

Quando e perché si è avvicinato alla lavorazione della ceramica?

Ho iniziato attorno ai trent’anni. Nel 2005 conobbi un anziano decoratore, ormai in pensione e disponibile a dedicare un po’ del suo tempo. Da lì in poi la mia formazione è proseguita da autodidatta: manuali tecnici, tentativi ed esperimenti.

La sua opera spazia dalla produzione di oggetti comuni, decorazioni murali fino alla scultura, c’è un messaggio legante?

Sono profondamente convinto che non esista alcuna distinzione tra arti maggiori e arti applicate, tra utensili d’uso e pezzi d’arte. Un oggetto funzionale soddisfa la pura contemplazione estetica così come un quadro o una scultura non esclude finalità sociali, economiche, culturali. Tra i diversi generi espressivi si intrecciano infiniti “varchi” e sottopassaggi curiosi.

Cavallo di Troia, collezione Eroi

Parlando della Collezione Bestiario: quali sono le sue origini e come si è sviluppata? Flora e fauna sono temi ricorrenti in tutte le arti figurative, perché il mondo animale?

La scelta dei soggetti zoomorfi è dettata dalle necessità imposte secondo il linguaggio formale, poi sviluppata mediante la tecnica di foggiatura ad esso più consona. Un processo dove il soggetto scelto è quello in grado di offrire maggiori potenzialità di sviluppo ad un certo tipo di azione espressiva. La tecnica delle lastre, propria della Collezione Bestiario, è utilizzata nella realizzazione di contenitori di forma poligonale. Io ho provato ad applicarla alla scultura, trovando i soggetti animali particolarmente adatti alla resa mediante l’assemblaggio di lastre d’argilla sagomate e piegate. Tale procedimento conferisce forte riduzione geometrica ed estrema sintesi nell’utilizzo dei mezzi espressivi, essenza della mia ricerca. 

Le sue sculture, perfettamente inserite nello spazio, lo dominano con decisone, caratterizzate da codici geometrici davvero armoniosi. É sempre stato vicino a questo tipo di linguaggio o è un vocabolario assemblato nel tempo?

É stata la materia stessa, ovvero l’argilla con le sue caratteristiche fisiche, a suggerirmi da subito un procedimento tecnico-espressivo.  

Queste creature, quasi mitologiche, si rifanno ad un periodo storico o sono mero frutto della sua immaginazione?

Per quanto fervida non esiste immaginazione che non attinga ad un bagaglio figurativo preesistente. Nel mio caso sono due i periodi della storia dell’arte evidentemente presenti: l’arte greca del periodo preclassico, fonte inesauribile di spunti e soluzioni e quel magnifico e quanto mai prolifico fondersi di linguaggi, generi e funzioni rappresentato, a cavallo tra XIX e XX secolo, dal Modernismo. 

Quali sono le principali fasi della realizzazione?

Non sono dotato di quella gestualità fluida ed ispirata, apparentemente automatica, che il sentire comune attribuisce al “vero” artista. Al contrario avverto la necessità di studiare ogni fase della lavorazione. Perciò ogni mio pezzo, dalla scultura di grandi dimensioni alla più “semplice” teiera, ha per punto di partenza la progettazione al tavolo da disegno. Una volta messo su carta, passo alla foggiatura mediante le tradizionali tecniche del colombino, del tornio, della lastra e del modellato. Dopo la prima cottura, ottenuto il cosiddetto “biscotto”, il pezzo in argilla cotta, si passa alla decorazione, smalti e colori che vetrificheranno in seconda cottura. Una terza cottura è prevista per quei pezzi sui quali decido di applicare la finitura a lustro metallico, una tecnica propria della Manifattura Chini, consistente nel far aderire a fuoco sullo smalto polveri di vari metalli (oro, rame, argento, platino, cobalto e altri) per ottenere una cromia preziosa e cangiante.

T’oro, collezione Bestiario

Quale tecnica ceramica adotta principalmente? 

Lavoro quasi esclusivamente con la maiolica. A buon diritto è considerabile la regina della produzione ceramica del nostro Paese, più radicata e più diffusa soffre a mio avviso di un fraintendimento troppo diffuso che la vede come la tecnica delle produzioni meno “alte”, sia dal punto di vista materiale che estetico. Così ho scelto di impegnarmi, nelle mie possibilità, nel rinnovare e rivitalizzare tale tecnica ponendola al centro della mia ricerca.

La scelta dei colori ha ragioni puramente estetiche o è referente al valore intellettivo delle creazioni?

Credo di potermi definire un “formalista puro”. Evito il più possibile di veicolare messaggi o simboli di qualsiasi natura attraverso l’opera. Non che veda del male nel voler “dire” qualcosa mediante un quadro o una scultura, ma ritengo che ultimamente si vada troppo spasmodicamente alla ricerca di un significato, perdendo al contempo la capacità di emozionarsi per “semplici” accostamenti di colori e volumi, la vera via di apprezzare l’arte visiva. Scelgo colori solo in base a quanto essi possano valorizzare i volumi o accordarsi ad essi. 

Lei è laureato in storia dell’Arte Contemporanea, c’è un artista che apprezza particolarmente o che esercita un’influenza sul suo lavoro?

Sarebbe impossibile per me indicare un solo nome, da vero eclettico. Oltre all’arte greca arcaica e all’Art Nouveau alle quali abbiamo già accennato, amo moltissimo l’arte plebea romana, l’arte alto medievale, la scultura romanica e quella barocca, la pittura tardo barocca, qualcosa del vituperato neoclassicismo settecentesco e gran parte dell’arte italiana del Novecento, almeno fino agli anni Settanta.

Capra del Cachemire, collezione Bestiario

Qual è il pezzo, realizzato nell’arco della sua produzione, al quale si sente più affezionato?

Anche in questo caso mi risulta difficile dare un’indicazione singola: ogni pezzo è la tappa di un percorso. Appena ne ho finito uno, vedo in esso le varianti che mi porteranno al successivo o ai successivi.  

Ha mai pensato di fare altro?

Ho sempre fatto altro. La ceramica è la mia occupazione principale, ma lavoro anche nell’editoria, nella formazione, negli allestimenti museali, nella grafica e nella decorazione.

Ci sono figure o momenti chiave all’interno del suo percorso lavorativo?

Senza dubbio l’incontro con Eugenio Taccini, ceramista di Montelupo Fiorentino. Abbiamo collaborato alla realizzazione di alcune opere di grandi dimensioni, come il Pinocchio da collocare nel parco di Collodi. Eugenio è un uomo ricco di libertà creativa e di energia vitale, nutre nei confronti del proprio lavoro un amore tanto profondo da fargli sopportare sforzi immani. La mitezza e la modestia sono invece le virtù che insegna Paolo Staccioli, grande sperimentatore nelle tecniche ceramiche. Generosi dispensatori di consigli pratici: Stefano Giusti e Sandra Pelli. Concludo ricordando con grande affetto tutti quei ceramisti alle prime armi che hanno condiviso con me i primi anni di attività: Sara Dario, Sarah Bertelli, Stefano Gambogi, Valentina Batini, Pamela Venturi, Francesca Antoniotti, Francesco Paternò. 

A quali mostre o esposizioni ha preso parte?

Tra le mostre specificamente dedicate alla ceramica: Epos, mostra personale al Museo Internazionale della Ceramica di Montelupo Fiorentino (2009);  La terra del fuoco. IX mostra della ceramica d’autore (Avigliana, Torino, 2010); Ceramica fiorita (2012), La ciotola come metafora (2015), Terra condivisa (2016), Travasi ovvero vasi comunicanti (2018), rassegne di ceramica italiana contemporanea a cura di Carlo Pizzichini (Sala dei Vasai e parco dell’Abbadia Nuova, Siena); Le forme della luce, II Biennale Internazionale di Pittura Scultura e Ceramica (Grottaglie, Taranto,  2012 e 2014). Fiere e mercati: Mostra Internazionale dell’Artigianato, Firenze; Mostra Annuale Nazionale delle Arti Applicate (2007, 2009, 2011), San Sebastiano Curone, Alessandria; Festa Internazionale della Ceramica, Piazza SS. Annunziata, Firenze, (2007, 2010, 2011, 2014);  Argillà, Faenza, (2008 e 2010). Collettive: Le stanze della meraviglia, selezione di artigianato artistico d’eccellenza, Firenze, Palazzo Vecchio, 2010; . ..e poi il fuoco , festa e mostra collettiva (Luca Canavicchio, Paolo Staccioli, Paul Massimo Popple, Pietro Elia Maddalena, Lorenzo Cianchi, Terry Davies, Alberto Cavallini) Certaldo, 2011; Maestri della ceramica, collettiva di ceramisti contemporanei (Paola Staccioli, Eraldo Chiucchiù e Massimo Luccioli), Fornace Pasquinucci, Capraia Fiorentina 2016. 

Dove possono essere acquistate le sue opere?

Collaboro temporaneamente con gallerie d’arte e negozi mentre proseguo con mostre e mercati specializzati. Parte dei miei lavori è disponibile su Etsy per l’acquisto diretto via web, sebbene continui a prediligere il rapporto diretto col cliente mediante la visita in laboratorio.   

Progetti futuri?

Due anni fa insieme a Vieri Chini e Stefano Innocenti ho intrapreso un cammino che ha portato infine al riconoscimento, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, di Borgo San Lorenzo quale Città della Ceramica. Oggi il mio impegno prosegue nel curare i rapporti tra la mia città e la AICC (Associazione Italiana Città della Ceramica) in vista della realizzazione di alcuni progetti volti alla tutela e allo sviluppo dell’arte ceramica. Proprio in questi giorni, insieme ad Alessandro Cocchieri, direttore del Museo Chini, sto lavorando all’approntamento di un laboratorio che possa essere utilizzato nei modi più vari, dallo svolgimento di corsi per gli studenti delle scuole del comprensorio fino al suo utilizzo nelle residenze d’artista. Vedo l’istituzione museale vitale nella sopravvivenza dei mestieri creativi: il museo conserva il patrimonio artistico e culturale esistente gettando le basi per quello futuro.