ARTICOLO SPONSORIZZATO. L’agricoltura biologica è un sistema di produzione che offre al consumatore prodotti gustosi e genuini, nel rispetto della natura e dei suoi ritmi. Coltivare secondo principi biologici significa rifiutare lo sfruttamento intensivo delle risorse, promuovendo al contrario le biodiversità ed escludendo l’utilizzo di fertilizzanti chimici e organismi geneticamente modificati (OGM). Una scelta che privilegia la qualità rispetto alla quantità e che, dopo gli inizi pioneristici negli anni 70, oggi continua il suo percorso di diffusione tra i coltivatori e produttori di tutto il mondo.

Coltura biologica:
una buona pratica in continua espansione 

Osservando il panorama mondiale, l’Europa risulta il secondo continente in quanto a superficie coltivata secondo un’ottica biologica. In particolare, con nuovi 10 membri entrati nell’UE nel 2004 la superficie biologica si è innalzata del 76%. In soli 16 anni si è poi espansa dai 6,4 milioni di ettari (2004) ai 15,6 milioni (2020). Per sottolineare la sostanzialità di questo trend positivo, notiamo come negli ultimi anni l’aumento di area coltivata con ottica bio è stato di ben 2,4 milioni di ettari in soli due anni (rispetto ai 13,4 milioni di ettari del 2018).
Al primo posto c’è l’Oceania (35,9 milioni di ettari), agevolata dalla vastità di praterie e foreste. Anche l’America Latina tuttavia risulta un’area fondamentale e in espansione, in quanto gli agricoltori locali beneficiano sempre di più della coltura biologica. Nel continente ben 8 milioni di ettari sono di coltivazione bilogica, di cui 3,4 milioni solo per l’Argentina.

I numeri sono in aumento ogni anno in tutto il pianeta. È interessante e d’ispirazione considerare molte storie di successo, luoghi in cui l’agricoltura biologica ha fatto della specificità locali un punto di forza di zone rurali.

Alcuni esempi sono legati al cibo e altri all’allevamento e ai tessuti. Nel caso specifico dell’Italia, la superficie biologica arriva a sfiorare i 2 milioni di ettari, la cui maggioranza è di prati per il pascolo, colture foraggere, di cereali, olivi e viti. Gli operatori biologici che se ne prendono cura sono più di 80mila, con una grande forza delle regioni meridionali di Sicilia, Calabria e Puglia. Ma le crescite sono su tutto il territorio italiano, tanto da far arrivare l’Italia ad essere il primo Paese Europeo per numero di aziende agricole.

Agricoltura biologica,
un ritorno alle origini

Il biologico è un ritorno a un concetto “originario” di agricoltura. Per migliaia di anni infatti, i terreni agricoli sono stati coltivati secondo la naturale capacità di assorbimento e fertilità della terra. Le prime coltivazioni con principi “intensivi”, anche se non paragonabili a quelli dell’epoca contemporanea, risalgono comunque a un’epoca remota, quella dell’antico Egitto. L’agricoltura infatti deve rispondere alle esigenze di sostentamento dei popoli e una produzione più ricca è sempre stata obiettivo che il coltivatore ha cercato di perseguire. Il problema è iniziato quando questo principio, legittimo, ha iniziato a entrare in conflitto con altre esigenze primarie: in primo luogo quelle di salvaguardia della Natura e della salute dei consumatori.

La rivoluzione agricola del 700

La grande svolta, che ha modificato radicalmente le tecniche di coltura in un’ottica di massimo sfruttamento dei terreni, risale all’epoca della “seconda rivoluzione agricola”, nel 700. In questo periodo, nelle campagne inglesi, che iniziavano a spopolarsi a causa dell’avvento della rivoluzione industriale, vennero introdotti i primi metodi di coltivazione intesiva. Queste tecniche abbandonarono l’avvicendamento delle colture a favore di una rotazione continua e non triennale. Venne introdotta anche una forte stabulazione degli animali, che venivano quindi confinati estensivamente in stalle. Ciò implicò un forte incremento della produzione, che per essere gestita necessitava di aiuti meccanizzati. Dall’Inghilterra del 700 queste pratiche intensive raggiunsero la Svizzera e successivamente il resto dell’Europa nel secolo successivo.

Si ottenne, in questo modo, un costante aumento della produttività a discapito della qualità e della genuinità di frutta, verdura e cereali. Iniziava il periodo delle grandi società di massa, e anche l’agricoltura fu costretta ad adeguarsi alle nuove condizioni socio-economiche. Lo sviluppo della chimica e delle ricerche sulla modificazione delle sementi, hanno determinato, nei due secoli successivi, una esasperazione di questi principi, che hanno rischiato di causare danni irreparabili agli equilibri naturali del pianeta, oltre che alla salute delle persone.

Prima di questa svolta, per migliaia di anni i nostri antenati hanno rispettato la biodiversità e la spontaneità dei ritmi della Natura. Hanno seguito, in altri termini, un atteggiamento sostenibile ma allo stesso tempo assimilabile all’attuale ricerca dell’agricoltura biologica. Sarebbe forse più giusto parlare di “permacultura”, un termine creato a metà degli anni 70 per parlare di una agricoltura che provvede ai bisogni locali applicando schemi e relazioni presenti in natura. Sono intenti allineati proprio a quelli dell’attuale agricoltura bio. La permacultura è la progettazione di sistemi agroalimentari che rispettano la biodiversità e la flessibilità dei sistemi della natura. Per quanto riguarda la gestione della terra, parte dall’agricoltura biologica. In ottica più ampia però non si riferisce solo alla coltivazione, ma anche alla gestione di tutte le attività che si svolgono in un luogo. Proprio per questo il termine italiano è formato da “perma” + “cultura”  e non “coltura”: per enfatizzare una filosofia che va oltre alla agricoltura stessa. Questi principi di sinergia tra uomo, piante e animali trovarono applicazione concreta in Australia grazie a Bill Mollison e David Holmgren, rispettivamente a Tagari e Melliodora. Passarono dunque dalla teorizzazione di uno stile di vita ad una tangibile realtà auto-sostenuta.

Gli albori della moderna agricoltura biologica

Gli aspetti promossi dalla permacultura iniziarono a diffondersi già negli anni ’20. Leggiamo infatti di “biodinamica” nel 1924, all’interno di “Impulsi scientifico-spirituali per il progresso dell’agricoltura” di Rudolf Steiner. Il suo discorso colpì e ispirò diversi botanici, agronomi, luminari britannici che parlando dell’importanza dei processi naturali e in armonia con l’ambiente. Siamo tra gli anni ’30 e ’40 quando leggiamo della “fattoria come organismo”, dell“organic farming”,.. grazie a esponenti come Albert Howard, Walter James, Lady Eve Balfour. Ciò portò nel 1946 alla nascita della prima associazione volta alla difesa dell’ambiente in ambito agricolo.
Sono termini tuttora in uso. È bene sottolineare comunque che la differenza tra “biodinamico” e “biologico” è che l’agricoltura biologica risponde a regole ferree. È per definizione strettamente monitorata da controlli dell’Unione Europea. L’agricoltura biologica ha lo stesso significato e segue lo stesso regolamento in tutta l’UE. È quindi una tecnica a tutti gli effetti, che incrocia una serie di stili di vita incentrati sul rispetto della natura.

La diffusione della cultura del biologico 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale diversi movimenti per la salvaguardia dell’ambiente aprirono questioni difficili da evitare. Si parlava dell’inquinamento, di ambiente, della necessità di una “rivoluzione verde”. E presto si capì che era necessario ripartire dalla terra, dall’agricoltura.

Si iniziò allora a parlare diffusamente del termine “biologico” negli anni 70, quando iniziarono a diffondersi idee che rivendicavano l’importanza delle specificità delle produzioni territoriali e autoctone. Le istanze di questi primi “visionari” vennero supportate, partire dal nel 1972 con la fondazione della IFOAM – International Federation of Organic Agriculture Movements. Da questo momento in poi si iniziò a parlare di uno standard in grado di regolamentare la dicitura “biologico”, con la conseguente nascita di certificazioni che oggi sono in grado di assicurare al consumatore scelte alimentari consapevoli e informate.

Questa organizzazione internazionale ha sostenuto e diffuso nel mondo il significato di agricoltura biologica. Fondata a Versailles, oggi ha sede a Bonn, e vanta come membri più di 100 nazioni. Grazie all’IFOAM sono stati raggiunti nel tempo accordi significativi come il primo Regolamento nel 1991 sulle norme di coltivazione. È oggi ancora promulgando i suoi principi di “Salute, Ecologia, Fairness e Cura”, col nome di IFOAM Organics Interational. È infatti a tutti gli effetti un organismo consultivo per le Nazioni Unite nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e della tutela dell’ambiente.

Il passaggio successivo è stato caratterizzato da una crescente sensibilizzazione riguardo i problemi dello sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta e dell’incidenza dell’alimentazione sulla salute.

Attualmente la cultura del “biologico” si pone obiettivi ambiziosi e globali. Questi prevedono delle priorità per la salute degli individui, in collaborazione con la natura stessa. Le buone pratiche dell’agricoltura legata al biologico sono volte con sempre maggiore forza alla trasparenza, che comporta il coinvolgimento di produttori e consumatori. Questi ultimi infatti ormai si sono abituati a voler sapere la provenienza di ciò che mangiano e il livello di genuinità dei prodotti, siano essi di origine vegetale o animale. L’agricoltura biologica in Europa è stata normata per la prima volta a livello comunitario nel 1991. Era stato istituito un regolamento relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e all’indicazione di quest’ultimo sui prodotti agricoli e alimentari. Nel giugno del 2007 è stato adottato un nuovo regolamento CE per l’agricoltura biologica, relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici sia di origine vegetale sia animale
Le normative oggi permettono di avere facilmente informazioni, leggendo le etichette, su: il metodo di produzione biologico, l’organismo di controllo e i riferimenti alla certificazione, l’indicazione delle materie prime a fronte del logo biologico dell’Unione Europea. Anche gli operatori di trasporto sono controllati, assieme all’imballaggio e ai mezzi utilizzati per le consegne.

Agricoltura biologica:
definizione dei principi fondamentali 

Foto di Uwe Aranas

L’agricoltura biologica si basa su pratiche pensate per permettere al sistema agricolo di operare in armonia con quello naturale. Per questo le colture biologiche rispettano i seguenti principi:

  • Rotazione delle colture
  • Rispetto della stagionalità
  • Utilizzo di fertilizzanti “naturali”, ovvero non derivanti da sintesi chimica
  • Divieto dell’uso di organismi geneticamente modificati (OGM)
  • Utilizzo di antiparassitari “naturali e “tradizionali” come il verderame
  • Uso efficace delle risorse del luogo
  • Applicazione di principi circolari come l’utilizzo, all’interno della stessa azienda, del letame prodotto dalle stalle dell’azienda per fertilizzare la terra e la coltivazione dei foraggi (biologici) per alimentare il bestiame
  • Scelta di piante autoctone che ben si adattano alle condizioni climatiche naturali del luogo.

Nel caso degli animali, la carne biologica non contiene antibiotici. Gli stessi allevamenti infatti si differenziano e sono pensati proprio per le diverse specie di bestiame. Si pensa alle esigenze di ognuna, con una alimentazione biologica anche per il nutrimento degli animali, basato su foraggio biologico.

Per quanto riguarda il prodotto biologico, il 95% dei suoi ingredienti devono provenire da agricoltura biologica. Ciò che viene messo in vendita deve riportare il nome del produttore, del preparatore o del venditore e dimostrare di essere conforme alle regole di certificazione e al sistema di controllo. Deve avere in chiaro il numero del codice dell’organismo di certificazione che ha effettuato il controllo dell’ultima operazione prima della commercializzazione. È importante fare attenzione quindi alla voce “qualifica” sulle etichette dei prodotti acquistati. Quindi se la voce indicata riporta “biologico” o “ convenzionale”.

Il coinvolgimento del consumatore
e le certificazioni

L’agricoltura biologica è un sistema parsimonioso ed efficace a lungo termine, con una filiera articolata che non può prescindere da una corretta e trasparente informazione al consumatore. Chi acquista infatti fa parte integrante del processo perché, grazie alla sua scelta, la rende sostenibile anche da un punto di vista economico.

È importante ricordare che più si sosterrà la richiesta di biologico, più si potrà ammortizzare anche il suo costo nel tempo. Spendere di più in questo momento però porta anche a delle garanzie concrete: si sostengono tutti i controlli di qualità che ci danno una sicurezza impagabile. Ogni certificazione comporta un costo e un lavoro enormi, come per esempio l’attenzione del produttore verso materie prime organiche e prassi ecosostenibili.
Il prodotto biologico è poi il risultato di un’agricoltura che ha una resa spesso inferiore rispetto a quella intensiva. Le tecniche agricole infatti dipendono strettamente dalla naturale produttività della natura. Sono quindi legate alle sole risorse naturali.

La diffusione del biologico in Italia 

In Italia, la cultura del biologico iniziò a fare timidamente capolino all’inizio degli anni 70, grazie all’intuizione e al lavoro appassionato di pochi “pionieri”. Il tema della scelta di un’alimentazione sana, a base di prodotti derivati da un’agricoltura rispettosa della natura e dei suoi cicli, non era infatti ancora diffuso tra i consumatori. Tra le prime aziende a credere nel biologico, Ki Group ha avuto fin da quel periodo, un ruolo di rilievo nella diffusione di una sensibilità verso un’alimentazione a base di prodotti naturali certificati. Una scelta in grado di migliorare il benessere personale, oltre che un’abitudine di consumo rispettosa della sostenibilità ambientale e degli equilibri della natura.

La nascita di Ki Group

Ki Group è nata nel 1974 a Torino come laboratorio che sfornava biscotti e confezionava farine e cereali bio. In un periodo in cui la produzione e il consumo di alimenti da agricoltura biologica erano destinati a una clientela di nicchia, Ki Group iniziò a rifornire i primi rivenditori specializzati in prodotti naturali ed alcuni negozi Macrobiotici, che in quel periodo si stavano diffondendo anche in Italia. Una clientela che consentì di ampliare gli orizzonti del piccolo laboratorio, nel frattempo denominato Ki Group. Un nome evocativo della sua mission, in quanto ispirato da un ideogramma giapponese che indica “l’energia cosmica che sostiene ogni cosa”.

L’affermazione della cultura bio

Il successivo sviluppo in larga scala di una sensibilità ambientalista e la crescente domanda di un’alimentazione naturale fece si che negli 80 e 90 la produzione e il commercio di cibi e prodotti da agricoltura biologica iniziarono a crescere in maniera significativa. Questo coincise con lo sviluppo dell’azienda, che iniziò a imporsi sul mercato grazie a una distribuzione capillare per negozi di alimentazione naturale ed erboristerie. Negli anni 90 Ki Group ha iniziato ad ampliare la proposta di prodotti da agricoltura biologica grazie a una serie di partnership strategiche e con l’acquisizione de La Fonte della Vita, una delle prime realtà italiane specializzata nella produzione di proteine vegetali bio come Tofu, Seitan, Tempeh. Alimenti ideali per chi predilige una dieta priva di carne e latticini.

Tutto questo oggi consente a Ki Group di offrire una vasta gamma di prodotti, tutti provenienti da agricoltura biologica: succhi e bevande, uova, cereali, legumi, pane, pasta, tofu, hummus, integratori naturali e molto altro ancora.

Dal mese di dicembre, una selezione di prodotti dell’azienda è disponibile anche on line, sul nuovo sito di e-commerce Ki Group (qui).  

Marco Miglio e Federica Delprino