Patrick Jouin ha una caratteristica peculiare: per dirla con Ernesto Nathan Rogers, sa disegnare “dal cucchiaio alla città”. Una definizione coniata per dare un’idea precisa del design contemporaneo, che non ha più solo il compito di creare ponti fra produzione industriale e individui ma ha ampliato il suo raggio d’azione a domini molto più estesi. Ovviamente un designer sa occuparsi di prodotto, in linea di massima. L’impatto di un unico oggetto è di tale complessità che anche per disegnare un cucchiaio, o come nel caso di Patrick Jouin, una pentola, ci vuole uno sguardo ampio e capace di creare strutture innovative intorno a qualsiasi progetto. Così Patrick Jouin, francese classe 1967, è approdato in Italia grazie a una serie di progetti nei primi anni del 2000 per Kartell, Porada, Cassina e Alessi. Per quest’ultima ha disegnato Pasta Pot, ormai un grande classico delle pentole Alessi, che ha vinto il Compasso d’Oro nel 2011. Progettata con lo chef stellato Alain Ducasse, Pasta Pot è una sintesi impeccabile di funzioni tecniche – supporta una cottura della pasta senza dispersione degli amidi – piccole idee progettuali, come il cucchiaio integrato nel manico e lo studio attento della forma che trasforma la pentola in un piatto di portata. Nel frattempo però Patrick Jouin si è occupato anche di interior design, insieme al suo socio Sanjit Manku, con il quale ha firmato progetti importanti. Come il restyling del celebre Hotel Mamounia a Marrakech e diversi ristoranti di Alain Ducasse a Parigi e in giro per il mondo. E il suo lavoro si è ampliato alla progettazione dei luoghi pubblici, come la Gare de Montparnasse a Parigi, il Salon di Air France all’aeroporto Charles de Gaulle. Fino a firmare, l’anno passato, tutta la brand identity e il design del progetto di trasporto pubblico Grand Paris Express, la rete di 200 chilometri che collega tutta l’Ile de France.
Le scelte di Patrick Jouin in materia di oggetti “del cuore” sono peculiari e raccontano molto del suo modo di lavorare. Un mix perfetto di interessi professionali, ammirazione progettuale e strumenti del mestiere. Alcuni arrivano dalle memorie dell’infanzia e dagli anni di formazione. Altri invece sono i compagni quotidiani di un designer la cui attenzione ruota intorno al progetto e alle sue dinamiche. Lo si capisce per la scelta di Graphoplex, il misterioso strumento di precisione che architetti e progettisti utilizzano per disegnare a mano libera. Patrick lo cita per rendere esplicito il suo modo di lavorare, e spiega: “Amo le curve, la tensione, l’accelerazione, il gesto, il movimento. Ne ho tutta una serie su misura: bisogna disegnare a mano in scala 1:1 per capire”. E ancora, un altro compagno di lavoro è il taccuino rosso di Sennelier. Racconta di averne una serie in diversi formati: il rosso lo aiuta a non perderli e a non dimenticarli. E accanto ai carnet ci sono gli acquerelli della stessa marca, ideali per colorare gli schizzi e dare densità ai disegni. Poi è la volta dell’aerografo Devilbiss Super 63: “Quando ho scoperto questo strumento per illustratori, avevo 13 anni e pensavo che da grande avrei passato la mia vita a disegnare fumetti come Jean Giraud (Mœbius). Mi è stato regalato dai miei genitori e durante tutto il mio tempo libero ho imparato a utilizzarlo. Era come un’estensione del mio cervello”.
E infine Jouin sceglie l’IPad Pro accanto alla sega a mano giapponese, uno strumento geniale per la sua semplicità e precisione. Per quanto riguarda il design, ci sono la sedia standard di Jean Prouvé e la libreria Nuvola di Vico Magistretti: entrambe celebrano il genio di due grandi designer. Secondo Patrick Jouin il legno è il materiale del futuro. Per questa ragione fra gli oggetti più amati da lui disegnati c’è Lebeau Wood di Cassina, per il valore simbolico di strumento aggregante e domestico. Impossibile non citare il progetto Tamu con Dassault Systèmes (2019), il naturale proseguimento di una sperimentazione sulla stampa 3D di mobili iniziata nel 2004 con la sedia Solid realizzata con MGX, che Jouin ha presentato nel 2004 e che l’ha reso un pioniere della produzione 4.0. Ovviamente non mancano Pasta Pot e la sedia Ila di Pedrali in omaggio a una famiglia di imprenditori “piena di entusiasmo e ambizione positiva: rappresentano perfettamente il genio del design industriale italiano”.