Ci sono luoghi in giro per l’Europa, che fanno strada alle avanguardie artistiche nell’epoca della tecnica. Sulle caratteristiche principali della società attuale è stato scritto molto. Si è riflettuto molto anche sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (Walter Benjamin, 1936). Manca, forse, ancora il raggiungimento della piena consapevolezza della rivoluzione in atto nel campo delle arti visive. La relazione uomo-macchina, onnipervasiva, non può più essere considerata alla stregua di un problema da affrontare. Al contrario, si tratta di un incontro fecondo, capace, finalmente, dopo secoli di introdurre qualcosa di eccezionalmente nuovo.

Lo dimostra benissimo, ad esempio, Spektrum, uno spazio espositivo di arti multimediali, a Berlino. Uno spazio aperto per la presentazione e la realizzazione di opere d’arte basate sulla tecnologia, uno spazio di convergenza  per utopie futuristiche, come si legge sul loro sito. È stato proprio all’interno di questo tempio moderno dell’arte multimediale, come tanti altri nel Nord Europa, che è avvenuto l’incontro tra Perdurabo, polistrumentista e producer di musica elettronica italiano e Jayson Haebich, artista di new media e programmatore australiano specializzato in opere interattive: sculture di luce, visual, lavori digitali e visualizzazione dati. Musica tecnica e arte tecnica per dare vita sensitiva ad un ex edificio della DDR. Luce, movimento, musica. Tutto frutto dell’interazione tra vita interiore, spirituale, artistica  ed elaborazione scientifica di righe di codice. È forse questo l’aspetto più interessante della cosiddetta arte digitale: dopo secoli di lotta, due aspetti complementari si incontrano: arte e scienza, pensiero intuitivo e pensiero logico-razionale; è un atto di pace e di fusione tra le due correnti che innervano la società europea: illuminismo e romanticismo.

In un’intervista a The Creators Project, racconta Perdurabo: “In quel periodo stavo producendo Komponent, un album collettivo assieme a Jörg Wähner, batterista di Apparat e Roman Rappak, frontman dei Breton alla Funkhaus, ex sede della radio della DDR, che oltre a essere il complesso di studi più grande d’Europa è un luogo unico per l’atmosfera che si può respirare ancora oggi, un balzo nel tempo,” ha continuato Perdurabo. “Nel blocco B vedevo sempre questa sala abbandonata, con un grande scalone e un’acustica perfetta, l’abbiamo scelta come location per il video. Abbiamo registrato e filmato tutto in una notte, cercando di dare il meglio da un punto di vista performativo e senza concentrarci troppo sulla forma. Magari, in futuro, potrebbe avere degli sviluppi live.”

 

Piero Di Cuollo
Via The Creators Project