La professione dell’archeologo marino è, forse, tra le più interessanti ed affascinanti tra quelle legate, in qualche modo, al mondo dell’arte. Il nostro, si sa, è un pianeta composto all’incirca dal 70% d’acqua ed è inevitabile che buona parte del nostro patrimonio archeologico sia custodito dalle oscure profondità marine. È una vera e propria manna dal cielo, dunque, per tutti gli interessati a scovare l’antico, l’antichissimo, a volte il preistorico nei fondali marini, l’iniziativa dell’Università di Firenze e del professor Benedetto Allotta denominata Archeosub.

 

 

Da oggi – in realtà già da qualche tempo – , infatti, la tecnologia non condividerà con l’arte solo parte della propria radice etimologica (dal greco techné, arte intesa come un saper fare), ma i due saperi si contamineranno a vicenda in maniera più che feconda. Di esempi a supporto di questa tesi se ne potrebbero citare molti, dall’arte generativa alle svariate applicazioni del creative coding, ma qui nello specifico si tratta della rivoluzione che sta entrando nella nostra epoca e va sotto il nome di Internet of Things (in italiano, Internet delle cose).

Il progetto Archeosub ha già testato i propri AUV (Autonomous Underwater Vehicles) in una ricognizione fra le colonne e i capitelli della cosiddetta “Chiesa Bizantina” che giace sui fondali di Marzamemi (Siracusa). A breve toccherà al relitto del Pozzino: una nave romana, affondata al largo del Golfo di Baratti (Toscana), un importante documento della medicina antica, grazie alla sua fornitissima “cassetta del pronto soccorso”, che fra flaconi e strumenti medici custodisce il più antico collirio del mondo.

Ma è con il progetto internazionale Sunrise, coordinato dall’Università La Sapienza di Roma, che Internet arriva in fondo al mare. Imitando i segnali acustici emessi da balene e delfini, i robot subacquei possono dialogare tra loro e inviare informazioni a boe di superficie, mentre con il Dropbox sottomarino dell’Heriot-Watt University di Edimburgo gli AUV esploratori, una volta individuati i reperti, forniscono mappe e dati ai colleghi analisti, che convergono sul posto.

Siamo solo all’inizio di un campo di applicazione vastissimo, di cui tanti già parlano ma che pochi, forse, hanno già compreso.

Piero Di Cuollo

Via Arte.it